Post voto. Meloni: «Ho agito da leader europeo». Tajani rilancia FI in chiave anti-Lega
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen al recente G7 in Puglia
A due giorni dal voto per la presidenza della Commissione Ue, per Giorgia Meloni è tempo di replicare alle critiche sul mancato voto a Ursula von der Leyen. Su tutte, quelle di aver anteposto gli interessi del suo partito al bene del Paese e di aver condannato l’Italia all’irrilevanza. La premier lo fa in una lunga intervista concessa al Corriere della sera, in cui rivendica la sua decisione sostenendo di essersi comportata come avrebbe fatto un vero «leader europeo». Quello che si chiede «se la traiettoria» intrapresa dall’esecutivo di Bruxelles sia o meno «giusta». E che, non potendo considerarla tale (specie rispetto a «materie su cui i cittadini hanno chiesto un cambio di passo»), ha agito «come sempre senza condizionamenti». E poi «se decidi di dire di sì solo per fare quello che fanno gli altri, non fai il lavoro che compete a un leader».
Per quanto riguardale le accuse di aver relegato l’Italia ai margini della “cabina di regia” europea, la premier è altrettanto netta: «L’Italia è un Paese fondatore, uno dei più grandi e più influenti paesi europei». Il suo compito, quindi, «è di tracciare la rotta, non di assistere in silenzio a cosa accade». Insomma, l’idea di possibili ritorsioni «è surreale», almeno quanto le posizioni di chi la sostiene: «Il M5s mi insulta perché ho votato come loro – argomenta il capo dell’esecutivo –. Il Pd perché non ho votato come loro e lo fa dopo aver minacciato di non sostenere Von der Leyen se avesse dialogato con noi. E tutti insieme insultano la maggioranza per aver votato in modo difforme. Come hanno fatto loro. La credibilità della predica si valuta anche dall’autorevolezza del pulpito».
A sentire Meloni, neanche il posto da commissario rivendicato per l’Italia è a rischio, perché è impensabile che «Von der Leyen non riconosca ai Paesi membri il ruolo che il loro peso determina» e «decida in base al fatto che i partiti di governo l’abbiano votata o meno». Ma rispetto alla possibilità che la casella venga occupata da Raffaele Fitto, la premier preferisce non scoprirsi: «Non parto dal nome, ma dalla delega».
Passando agli alleati di governo, la presidente del Consiglio non elude il nodo del sostegno all’Ucraina, ma a suo avviso l’adesione della Lega al gruppo filo-Putin dei Patrioti non creerà problemi, perché «la linea del governo è definita dal programma scritto insieme e sempre rispettato» e in ogni caso il nostro esecutivo è quello «percepito come più solido a livello internazionale».
Certo è anche vero che i rapporti tra la Lega e Forza Italia sembrano peggiorare ogni giorno di più. Ieri è andato in scena un altro botta e risposta, l’ennesimo, con Antonio Tajani che ha nuovamente parlato dei Patrioti come «ininfluenti» («anche quelli italiani», ha specificato stavolta), e il Carroccio che ha replicato definendo «imbarazzante» la scelta di FI di «votare con la Schlein per una poltrona». Il ministro degli Esteri ha anche chiarito che il programma di Von der Leyen non è di sinistra («Solo chi non l’ha letto o è in malafede può pensarlo»), ma si è già spinto più in là sul Green deal aprendo a una revisione dello stop alle auto non elettriche dal 2035, un cavallo di battaglia leghista.
Sulla sponda opposta, con Elly Schlein e gli altri big impegnati in eventi diversi per i referundum sull’autonomia, va segnalato l’intervento di Enzo Amendola, impegnato in un “duetto” social sul Pnrr con Andrea Orlando: «Meloni sembra più Calimero – ha commentato irridendo l’intervista della premier – che diceva che nessuno gli voleva bene e che nessuno ha capito quello che ha fatto».
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