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Vertice Ue. Meloni chiede «unità nazionale» su Fitto. A Bruxelles tensione sui migranti

Marco Iasevoli martedì 15 ottobre 2024

Meloni al Senato per presentare i temi del prossimo Consiglio Europeo

Un Consiglio Europeo «di transizione» ma ugualmente «importante», perché renderà effettiva la direzione di marcia della nuova legislatura Ue e della nascente Commissione Von der Leyen II. Giorgia Meloni si presenta al Senato per illustrare l'imminente vertice dei capi di Stato e di governo con toni più "ecumenici" del solito verso le opposizioni. Il motivo è presto detto: blindare quella vicepresidenza esecutiva che Von der Leyen ha affidato a Raffaele Fitto, con la convergenza, auspicata dalla premier, degli eurogruppi italiani. «Mi auguro che tutte le forze politiche italiane - chiede Meloni - si facciano parte attiva presso le proprie famiglie politiche europee affinché questo risultato per la nostra nazione possa essere raggiunto rapidamente e senza inciampi. Ci sono momenti - ha aggiunto - in cui l'interesse nazionale deve prevalere su quello di parte: mi auguro che sia uno di questi senza distinguo e senza tentennamenti». Una esplicita richiesta di "unità nazionale" intorno al ruolo e al portafoglio europeo di Fitto, su cui la premier ha calcato la mano ricordando sia il ruolo dello stesso Fitto nella nomina di Gentiloni sia l'endorsement che all'esponente del Pd venne, nella scorsa legislatura europea, da Silvio Berlusconi. Ricostruzioni che però sono state parzialmente smentite nelle scorse settimane dai dem e dalle altre forze di opposizione. Perciò sarà molto interessante sentire il dibattito che ci sarà soprattutto stasera alla Camera, dove siede la segretaria del Pd Elly Schlein. Sono in sostanza i dem che devono assumere una posizione su Fitto, essendo già nota l'indisponibilità a sostenerlo sia di M5s sia di Avs. Meloni l'amo l'ha lanciato, anche citando, ed elogiano, i report redatti per Bruxelles da Enrico Letta e Mario Draghi.

Toni meno ecumenici, più duri, ma comunque accompagnati da un invito a sostenere le sue posizioni, arrivano sulla transizione ecologica e sull'automotive: «L'approccio ideologico che ha accompagnato la nascita e ha sostenuto finora lo sviluppo del Green Deal europeo ha creato effetti disastrosi. E' una posizione che noi abbiamo sostenuto fin dall'inizio, spesso in splendida solitudine, e che oggi, finalmente, è diventata invece patrimonio comune. Perchè non è vero che per difendere l'ambiente e la natura l'unica strada percorribile sia quella tracciata da una minoranza palesemente ideologizzata». Insomma, sarebbe «un suicidio inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione». Un punto sul quale, in Europa, i Conservatori di Meloni hanno la sponda del Ppe.

Complesso, e all'insegna dell'equilibrismo, il passaggio che Giorgia Meloni ha fatto in Aula su Israele: «Pur se non si sono registrate vittime o danni ingenti io penso che non si possa considerare accettabile» l'attacco di Israele all'Unifil «ed è la posizione che l'Italia ha assunto con determinazione a tutti livelli: pretendiamo che venga garantita la sicurezza dei nostri soldati sia Unifil sia nella missione bilaterale, che insieme al resto della comunità internazionale hanno contribuito per anni» alla stabilità del confine tra Israele e Libano. A questa esternazione corrispondono diversi "ma però" e "ma anche" che tradiscono la difficoltà che vive in questo momento l'Italia nei rapporti con Israele. Da un lato Meloni ricorda come insidie costanti a Unifil arrivino da anni da Hezbollah, dall'altro la premier cerca di non andare allo scontro con Tel Aviv condannando le manifestazioni degli ultimi giorni: «Ricordare e condannare con forza ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023, e' il presupposto di ogni azione politica che dobbiamo condurre per riportare la pace in Medio Oriente, perchè sempre più le pur legittime critiche a Israele si mescolano con un giustificazionismo verso organizzazioni come Hamas ed Hezbollah, e questo, piaccia o no, tradisce altro. Tradisce un antisemitismo montante che, credo, debba preoccuparci tutti. E le manifestazioni di piazza di questi giorni lo hanno, purtroppo, dimostrato senza timore di smentita».

A margine del suo intervento, in un breve scambio con i giornalisti, Meloni ha poi confermato che a giorni si recherà in Libano, probabilmente appena concluso il Consiglio Europeo.

Il Consiglio Europeo di giovedì 17 e venerdì 18, preceduto da una riunione con i Paesi del Golgo cui ha lavorato l'inviato europeo Luigi Di Maio, ex leader M5s, avrà all'ordine del giorno anche il governo delle migrazioni. Sul punto Giorgia Meloni rivendica per intero il lavoro del governo, gli accordi con i Paesi africani, i centri in Albania, il Piano Mattei. E difende sia Salvini sia la Guardia Costiere dagli attacchi a loro arrivati da alcune Ong (senza però citare il processo di Palermo che potrebbe portare a una condanna del leader della Lega, se accolto l'impianto dell'accusa). Anche sul punto, Meloni chiede alle opposizioni di non essere «ideologiche».

Particolarmente duro e diretto l'attacco a Sea Watch: «Considero vergognoso che l'organizzazione non governativa Sea Watch definisca le guardie costiere "i veri trafficanti di uomini", volendo delegittimare tutte quelle degli Stati del Nord Africa, e magari anche quella italiana, in modo da dare via libera agli scafisti che questa Ong descrive invece come innocenti, che si sarebbero ritrovati casualmente a guidare imbarcazioni piene di immigrati illegali. Sono dichiarazioni indegne, che gettano la maschera sul ruolo giocato da alcune Ong e sulle responsabilità di chi le finanzia». Ieri la Ong accusata dalla premier aveva definito «deportazioni» quelle in corso nei centri albanesi, che Sea Watch appella come «lager».

Ma proprio il capitolo delle migrazioni si prospetta come il più delicato all'imminente vertice europeo: secondo fonti della Commissione, il Consiglio potrebbe chiudersi senza conclusioni proprio sui migranti. «Alcuni Paesi potrebbero bloccare le conclusioni, chiedendo di focalizzarsi sulla discussione. All'interno del Consiglio si sono formati tre gruppi di Paesi su questo punto: il primo vorrebbe conclusioni dettagliate, il secondo vorrebbe adottare solo linee guida generali, mentre altri non vogliono conclusioni». Alcuni Paesi - si spiega ancora - spingono per anticipare l'attuazione di talune parti del patto Ue sulle migrazioni e l'asilo, mentre i Paesi che hanno votato contro quel patto, come ad esempio l'Ungheria, ostacolano l'attuazione anticipata. Quanto ai centri italiani in Albania, è la portavoce per gli Affari interni a dire come stanno le cose a Bruxelles: «A oggi non è possibile per la legge europea avere questo modello. Per renderlo possibile bisognerebbe che il diritto europeo intervenga a regolare il rimpatrio forzato verso Paesi terzi che non siano quelli d'origine. Nella nostra valutazione le leggi attuali non lo prevedono. In vista della riflessione su modifiche legislative, stiamo esaminando la cosa»..