Consiglio Ue. Perché Meloni non vede il «clima di guerra» a Bruxelles
Ursula Von der Leyen e Giorgia Meloni
La premier invece sposa la tesi dell’equivoco
. Anche se poi precisa: «Poi è ovvio, siamo in un conflitto. Nessuno lo affronta non chiedendosi quale debba essere il passo successivo o non ponendosi il tema di un approccio di lungo termine. Gli scenari possono cambiare e nessuno affronta una stagione del genere a cuor leggero. Ma non ho visto un clima diverso di preoccupazione su eventuali escalation o messaggi del tipo “i nostri cittadini sono in pericolo, mettiamoci l’elmetto in testa e andiamo a combattere”». Insomma, equivoco comunicativo ed esagerazioni di stampa.
Una linea di prudenza che però, appunto, non collima con quella di altri leader. E mostrano una premier meno propensa a preoccupare le opinioni pubbliche.
Sarà per la difficoltà della sfida elettorale interna, con Conte che già parla di un governo che «ci porta nella Terza guerra mondiale» e con Salvini (ieri oggetto di una mozione di sfiducia delle opposizioni) che si muove tra trumpismo e semi-neutralità verso Putin.
Sarà anche per lo sguardo rivolto alla corsa elettorale di Washington, con il ritorno di Trump che potrebbe cambiare gli equilibri
. In ogni caso, Meloni non vuole che da Bruxelles arrivi un messaggio di allarme.
Certo quanto la situazione sia fluida nel cuore delle istituzioni europee lo si capisce anche dalla freddezza con cui la premier raccoglie la domanda sull’eventuale
bis di Ursula Von der Leyen
al vertice della Commissione: «Questo è un dibattito che appassiona voi e non me. Io sono quel tipo di politico che aspetta che votino gli italiani prima di decidere chi deve fare cosa. Dopo il voto si vedranno quali sono i pesi». Conta il «cosa si fa» prima di tutto: «Io penso che l’Europa di domani debba essere molto diversa dall’Europa di oggi. Molto meno ideologica. Negli ultimi mesi si sta raddrizzando, ma nei primi anni non è andata benissimo».
Sul punto pesa, e non è un’ipotesi, la raffica di «no» a VdL che stanno arrivando non solo dai “sovranisti”, ma anche dai partiti che fanno parte del suo gruppo, i Conservatori europei, da pezzi del Ppe, dai liberali.
Insomma cambiano gli scenari, si rivalutano le strategie. Anche su
Orbán
(forse): «Il suo ingresso nei Conservatori non è un dibattito all’ordine del giorno». E «non condivido quegli auguri» rivolti dal leader magiaro a Putin dopo la rielezione. I due non sono mai stati così distanti.
Chiamata a difficili equilibrismi, la premier però rivendica i risultati su Bosnia, Gaza e migranti. E soprattutto sull’agricoltura: «Nelle conclusioni c’è il riferimento alla proroga agli aiuti di Stato», dice la premier. Nella delegazione a Bruxelles c’era anche il ministro e cognato
Francesco Lollobrigida
. Se il nuovo governo europeo sarà più spostato a destra, lui potrebbe rientrare tra i papabili commissari italiani.