Politica. Meloni: «Banche, ho deciso io». E parte la raccolta di firme per il salario
Con un’inedita intervista “tripla” concessa, con risposte “fotocopia”, dal buen retiro in Puglia a Corriere, Stampa e Repubblica, Giorgia Meloni spezza la monotonia ferragostana. E lo fa per rivendicare con nettezza la tassa sugli extraprofitti delle banche come una sua decisione esclusiva (e non imposta dalla Lega di Salvini, come qualcuno ha sostenuto) e per affilare le lame in vista della battaglia d’autunno sul salario minimo. Un tema che scotta, da trattare con cautela, perché a giudicare dai risultati della raccolta firme per la proposta unitaria delle opposizioni (100mila adesioni in poche ore), la misura può vantare un certo appeal tra gli elettori, anche moderati. Ma questo la premier lo sa: non a caso, ieri è arrivata anche la firma della convenzione tra il ministero del Lavoro e il Cnel, prima pietra per tracciare la road map di una proposta condivisa sul tema entro 60 giorni.
Per quanto riguarda le banche, a preoccupare il capo dell’esecutivo è invece il fronte interno. Del resto la rivendicazione della premier è utile a scacciare le voci su un provvedimento da molti ritenuto il frutto di un pressing leghista. Ed è di sicuro un segnale chiaro a Fi, che con il segretario Antonio Tajani, ha lamentato una questione di metodo dopo l'arrivo del provvedimento in Cdm senza preavviso. «È più facile intervenire su una misura del genere se la notizia non gira troppo – è la spiegazione della presidente del Consiglio –, quindi io mi assumo la responsabilità politica». In ogni caso, almeno di norma, «tutti i partiti sono sempre estremamente coinvolti», ma «questa è una materia molto particolare e delicata su cui mi sono assunta la responsabilità di intervenire. Ne ho parlato con Antonio».
Il capo dell'esecutivo passa poi al motivo di maggior attrito con le opposizioni, il salario minimo, su cui però, assicura rispondendo agli attacchi di Pd e 5S, l'intento del governo «non è mandare la palla in tribuna». Prova ne sia il «primo passo» dell’esecutivo con il Cnel, che, fanno sapere fonti ministeriali, «non è niente di nuovo a livello di metodo e ricalca esattamente lo schema del governo Draghi con il tavolo di supporto» nell'applicazione del Pnrr presso lo stesso organismo. Meloni assicura che «la mia linea è concentrare i fondi sui salari più bassi» con un arco di misure, a partire dal «taglio del cuneo fiscale» da confermare e poi «detassazione dei premi di produttività, bonus energia». «La mia impressione – incalza quindi – è che sul tema si voglia fare politica» e «questo prevale sull'affrontare seriamente la questione. Loro dicono “siamo consapevoli che il salario minimo non risolve il problema del lavoro povero, ma vogliamo andare avanti con la raccolta di firme”», conclude la premier. Nel merito, lei rimanda a «una proposta precisa» che verrà - quella che coinvolge il Cnel appunto - e «vediamo cosa esce» da lì. Peraltro, sul punto si è appreso che l’indagine di villa Lubin sarà a tutto campo: anche mensilità aggiuntive, Tfr, ferie, vari tipi di permessi saranno analizzati come parti della retribuzione complessiva.
Come detto, però, dopo l'incidente digitale delle prime ore, la petizione on-line sulla proposta unitaria per il salario a 9 euro l’ora viaggia spedita e ognuno dei big coinvolti ha voluto metterci la faccia, da Calenda a Schlein, da Conte a Fratoianni. Solo Matteo Renzi fa eccezione: «L'Italia ha le tasse sul lavoro tra le più alte d'Europa, ma gli stipendi fra i più bassi – constata il senatore fiorentino –. Davvero Meloni pensa che per risolvere questo problema basti convocare una bella passerella d'agosto a Palazzo Chigi? Ha invitato le opposizioni, tranne noi di Italia Viva, a discutere della legge sul salario minimo. Sapete come è finita? Zero, nulla di fatto».