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I nodi. Europa, migranti, conti, premierato: Meloni lancia le sfide del 2024

Arturo Celletti venerdì 29 dicembre 2023

Un 2023 di luci e anche di ombre. Un anno complicato. Un anno che Giorgia Meloni racconta con un solo aggettivo. Scelto non a caso. «Un anno tosto». Già tosto. Per le scelte politiche rese ancora più complicate dal quadro economico traballante. E per le scelte più private: a ottobre si chiude il rapporto con il compagno Andrea Giambruno, liquidato con un post su Facebook dopo gli imbarazzanti fuorionda finiti in pasto a 'Striscia la notizia'.

Meloni però guarda al 2024 che si annuncia pieno di insidie. Ci sono decisioni da prendere. Scelte complicate. C'è il nodo giustizia. Il nodo migranti. C'è da tenere insieme una maggioranza dove Forza Italia sembra essere sempre meno a proprio agio. C'è la partita delle grande riforma Costituzionale che potrebbe dare vita (referendum permettendo) al premierato. E c'è il delicato rapporto con l'Europa messo però fortemente in crisi dall'ultima scelta sul Mes.

Un passo indietro. «Atlantisti o l'esecutivo non vedrà la luce», aveva subito messo in chiaro Meloni. Una linea a cui ha tenuto fede in questo primo anno, senza tentennamenti. Meloni per mesi lavora al Progetto. Costruisce un rapporto confidenziale con Joe Biden. Un patto sempre più solido con Ursula Von der Leyen. E continua a mandare messaggi chiari a chi tacciava il governo di anti-europeismo. Non è così. E Meloni sceglie per mesi ogni mossa per allontanare da sé l'immagine di leader post-fascista pronta a remare contro l'Europa. Ora però come sarà il 2024? Quale strada deciderà di prendere per il voto europeo? E scenderà in campo in prima persona - come fanno capire ai piani alti di Palazzo Chigi - per frenare la sfida di Matteo Salvini? E con quale piattaforma? Con quali parole d'ordine?

ANSA

C'è un piano preciso nella testa della premier. Confermarsi alle elezioni europee. E puntare ad arrivare col suo governo a fine legislatura. «Il bilancio su di me? Solo tra 5 anni», ama ripetere, ricordando che quella a Palazzo Chigi è una «maratona e non una sfida da velocisti». Una maratona con un 2023 complicato e un 2024 che nonostante più della metà del Paese si fidi di lei non si annuncia facile. E dove le spine sono sempre legate a due grandi questioni: immigrazione e tenuta dei conti. Per fotografare uno dei momenti più difficili bisogna tornare al febbraio scorso, quando un caicco partito dalla Turchia e carico di almeno 180 migranti affonda a poche decine di metri dalla costa di Steccato di Cutro. Si conteranno 94 morti, di cui 35 minori. La tragedia segna il Paese e infiamma le polemiche -la premier e il ministro Piantedosi finiscono nel mirino - la conferenza stampa tenuta a marzo per annunciare una nuova stretta sui "trafficanti di vite umane" si trasforma in una Caporetto mediatica. Ma Meloni tiene però duro. Percorre la strada dissestata di un Memorandum con la Tunisia, volando dal presidente Kais Saied con il premier olandese Mark Rutte e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Porta la questione migranti e l'emergenza italiana -con i riflettori puntati sull'isola di Lampedusa- anche sul tavolo dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, invitando l'Onu a «non voltarsi dall'altra parte». E su questa strada continuerà nel 2024. Far capire all'Europa che il nodo migranti è un nodo europeo che impone una strategia europea. E puntare con decisione su un piano Mattei per l'Africa. Poi c'è la controversa questione Italia-Albania. Il rapporto Meloni con Edi Rama. Lo stop dell'Alta Corte albanese. La fiducia di Roma. Capiremo presto se ci saranno i due centri migranti in Albania.

Non è questa solo la questione migranti a pesare sul futuro della premier. La partita dei conti è altrettanto complicata. E la rinegoziazione del Pnrr, giudicata dai più una "mission impossible" non vuol dire vittoria. L'anno di chiude con l'incasso della terza rata e proprio ieri con il disco verde della Commissione europea alla quarta. Più i 52 target messi a segno per la V, che verrà richiesta entro fine anno. Ma la strada è lunga. Il no al Mes ha diviso la maggioranza e ha infastidito Bruxelles. Il Mes con lo stop della Camera alla ratifica, ha spinto la premier su una linea "barricadera". Lei parla di «dimostrazione di coerenza». E ora sembra decisa a sfoderare anche nella campagna elettorale per le europee, ormai dietro l'angolo, una linea più dura. Già perchè con il no al Mes Meloni ha spostato la barra del governo più a destra. Aprendo la sfida a Salvini. Comprimendo lo spazio per i moderati e per Forza Italia. E solo tra qualche mese capiremo se anche questa volta Giorgia Meloni ha avuto ragione. Lo dirà il voto europeo. Lo dirà la compattezza del suo governo. Lo diranno i risultati su migranti e conti. Lo dirà il sì o il no al premierato.