Attualità

INCHIESTA/1. Melfi, a famiglie e anziani l’ossigeno dell’8 per mille

Mimmo Muolo lunedì 6 giugno 2011
Forse Federico II avrebbe storto il naso. Lui, convinto precursore della laicità dello Stato, vedere realizzata proprio nella sua Melfi un’intesa tra Comune e Diocesi, per trasformare un vecchio ospedale in disuso in una moderna casa famiglia per persone sole e in un centro diurno per anziani. Non solo. Vederla funzionare anche grazie al contributo dell’8xmille, che della collaborazione Stato Chiesa, in questi anni è diventato il simbolo. Insomma ce ne sarebbe stato abbastanza per far mugugnare il grande Imperatore, che a Melfi, sua residenza estiva, era di casa.Chi, invece, è sicuramente contento, sono i tanti bisognosi che la Caritas diocesana aiuta e ai quali, spesso, oltre ai beni necessari, ridà una speranza di vita. Sì, perché i tempi cambiano e, oggi, del proprio passato imperiale, la cittadina lucana conserva solo alcune vestigia nel centro storico: mura, castello, la cattedrale con lo splendido episcopio (uno dei più grandi del sud) e i palazzi delle famiglie nobiliari. Il presente, invece, è tutto da decifrare, al di là dell’aspetto gradevole di tranquillo centro di provincia immerso nel verde. Per non parlare del futuro, che qualcuno aveva sognato in grande, specie dopo l’arrivo della Fiat, e che rischia invece di avere il volto dei nuovi quartieri industriali, già quasi abbandonati, a causa della crisi economica.«Nel giro di due anni - dice Rosetta Asquino, responsabile del centro di ascolto della Caritas diocesana - abbiamo assistito a un incremento del 30 per cento delle richieste di aiuto. Circa 100 nuove famiglie in più, che fino a qualche tempo fa mai avremmo pensato di dover aiutare». Spiega Vito Giallella, uno dei volontari che sono a diretto contatto con i bisognosi: «Intorno alla Fiat era nato un fiorente indotto. Ma a un certo punto l’azienda ha cambiato strategia, reperendo la componentistica non più e non solo nel nostro territorio. Molti sono stati costretti a chiudere. E interi nuclei familiari si sono ritrovati senza reddito. Specie quando marito e moglie lavoravano nella stessa ditta».Sono questi i nuovi poveri che oggi bussano alle porte della Caritas. Una bolletta scaduta. L’affitto di casa che non si riesce a pagare. La rata del mutuo che incombe. E poi, ricorda il direttore della Caritas diocesana, Giuseppe Grieco, «ci sono le povertà tradizionali: soprattutto anziani soli e immigrati, questi ultimi oltre 500 su una popolazione cittadina di circa 16mila abitanti». La risposta della diocesi è «un progetto articolato, che - fa notare Grieco - anche grazie ai fondi dell’8xmille, cerca di fornire non solo risposte immediate, ma anche di lungo respiro».Di questo progetto, l’iniziativa "Centro Hospitalis" è sicuramente l’aspetto più originale. L’edificio, a due passi dalla Cattedrale, è quella del vecchio ospedale San Giovanni di Dio, che nel 2006 è stato ristrutturato dal Comune e messo a disposizione della Caritas. L’antico palazzo è ora una struttura polifunzionale, per metà adibita a casa famiglia e per l’altra metà a centro diurno per anziani. In realtà anche la casa famiglia è divisa in due parti: una per gli ospiti "fissi", l’altra a disposizione, per brevi periodi, dei familiari dei detenuti del locale supercarcere. L’idea, come ricorda Emilia D’Arace, segretaria della Caritas diocesana, è nata proprio osservando le dinamiche del territorio. «I giovani se ne vanno via in cerca di lavoro, così gli anziani restano soli. Perciò, nella parte della casa famiglia, che può ospitare fino a sei persone, accogliamo chi non ha parenti o per vari motivi è stato abbandonato». È il caso di Angelo, che per 20 anni, dopo la morte dei genitori, è vissuto da solo in quella che era diventata una specie di stalla. O di Benito, la cui pensione di invalidità era ormai insufficiente anche per le prime necessità. La casa famiglia ha ridato al primo una dignità, testimoniata dalla ritrovata capacità di curare la sua persona e il suo ambiente, e al secondo persino un’occupazione nell’ambito dei lavori socialmente utili.«Nel centro diurno - ricorda invece Emilia - si alternano 160 anziani, per i quali organizziamo attività ricreative, formative e di educazione alla salute: dalle mostre di pittura alla ginnastica dolce, ai corsi di cucina, dall’informazione su come prevenire le patologie della terza età alla "festa dei nonni", che coinvolge anche le loro famiglie. Insomma li aiutiamo a sentirsi utili e inseriti nel tessuto sociale, anche quando l’età avanza».L’8xmille sostiene concretamente tutto questo. Quest’anno 34mila euro sono andati ai centri di ascolto, 45mila alle Caritas parrocchiali e 20mila al "Progetto Hospitalis". Ma l’assistenza non basta. «L’8xmille - dice il vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa, monsignor Gianfranco Todisco - può essere l’occasione anche per immaginare uno sviluppo diverso, più legato alla nostra storia e alle nostre risorse naturali. Tra meno di un mese verrà inaugurato, in un’ala del palazzo vescovile, il nuovo museo diocesano. E stiamo promuovendo in diocesi il Progetto Policoro, per stimolare l’imprenditorialità giovanile e cercare di arrestare la fuga dei cervelli». Oltre a Venosa, patria del poeta Orazio, l’immagine simbolo è quella della splendida Abbazia di San Michele a Monticchio. Fino a poco tempo fa era disabitata. Oggi c’è un custode e si può visitare, godendo dalle sue finestre una vista mozzafiato dei laghi e delle verdi colline ricche di acque minerali che li circondano. Monsignor Todisco ne è convinto. «Per creare nuova occupazione, dobbiamo puntare sulla valorizzazione dei beni culturali e della natura meravigliosa del nostro territorio». Un’affermazione sulla quale, c’è da scommetterci, persino Federico II, che qui ci veniva a caccia, non avrebbe avuto nulla da ridire.