Attualità

Dibatitto. Il ritorno dei «giudizi sintetici» alla scuola primaria: sì o no?

Paolo Ferrario giovedì 14 marzo 2024

Nelle ultime settimane il dibattito sulla scuola è stato, in buona parte, dedicato alla riforma della valutazione nella scuola primaria, argomento al centro anche di un botta e risposta tra la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein e il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Un emendamento del governo al disegno di legge sul “voto in condotta” vuole, infatti, ripristinare i giudizi sintetici (da “insufficiente” a “ottimo”) al posto dei giudizi descrittivi (da “in via di prima acquisizione” ad “avanzato”), in nome di una presunta maggior chiarezza e di una semplificazione lessicale e semantica. A vantaggio, dicono i promotori della revisione, sia degli alunni che delle famiglie.

L’idea, sostenuta dal ministro Valditara, non piace, però, a molti pedagogisti, che temono il ritorno della “valutazione punitiva”, mortificante per gli studenti, soprattutto i più piccoli. Dal Ministero rassicurano sottolineando che, in ogni caso, la valutazione sintetica sarà accompagnata sempre dalla «descrizione del percorso umano e pedagogico dei bambini». Insomma: più chiarezza non equivale a più severità. Ma, nel dubbio, è partita una raccolta di firme sul web, che ha quasi raggiunto le 10mila adesioni in pochi giorni. Le firme sono di insegnanti, pedagogisti, psicologi e anche di attori, attrici e personaggi dello spettacolo.

Favorevole: Francesco Magni, docente di Pedagogia

«La valutazione degli apprendimenti ha senso nella misura in cui contribuisce al percorso formativo e alla crescita integrale della persona di ciascuno studente in tutte le sue dimensioni. La valutazione è fatta per la persona, non il contrario».

Parte da questa «premessa di carattere generale», Francesco Magni, docente di Pedagogia generale e sociale all’Università di Bergamo, che non si scandalizza per l’annunciata riforma della valutazione nella scuola primaria, con il ritorno dei “giudizi sintetici”. La decisione del governo ha suscitato un vespaio di polemiche, innescato da «fraintendimenti e pregiudizi», che «è opportuno provare a chiarire».

Da dove si comincia?

Ricordando, per esempio, che la proposta in discussione in Parlamento non prevede affatto il ritorno ai voti numerici (come invece da più parti erroneamente paventato), ma intende sostituire una scala di valutazione che rischia di essere poco comprensibile per genitori e bambini (in via di prima acquisizione, base, intermedio, avanzato) introducendone una più diretta e chiara (insufficiente, sufficiente, buono, ottimo). Quale delle due scale di valutazione risulta più comprensibile per i bambini e i loro genitori che sono i primi ad aver diritto di capire? A mio modo di vedere, si tratta quindi in primo luogo di un’operazione di semplificazione lessicale e semantica.

Il ministro Valditara ha detto che si potrebbe arrivare anche al gravemente insufficiente: è davvero necessario?

Sulla questione del gravemente insufficiente, scala di giudizio a mio avviso inopportuna e inadatta, occorre precisare che il Ministro si è limitato a rispondere a una domanda dicendo che se ne sarebbe valutata l’eventuale utilità per l’alunno. Il resto è facile demagogia e sterile polemica.

Resta il fatto che, per tanti alunni, il “voto” è causa di stress e vero e proprio panico: non c’è il rischio di un ritorno alla valutazione “punitiva”?

Ritengo che il concetto di valutazione formativa, introdotto fin dalla legge 517 del 1977, sia un punto di non ritorno sul quale tutti possiamo concordare: la valutazione degli apprendimenti deve essere sempre formativa e mai “punitiva”, o “competitiva”. Non serve infatti a “punire” lo studente, né è fine a sé stessa, ma ad aiutarlo e ad accompagnarlo nel suo cammino di crescita e maturazione.

Oltre alla valutazione, che altro serve?

Come tutti gli strumenti e i mezzi, anche la valutazione da sola non basta. Per favorire una reale crescita di tutti e di ciascuno, a partire dagli studenti più in difficoltà, occorre avviare una sempre più decisa personalizzazione dei percorsi formativi, avvalendosi del docente tutor e utilizzando il portfolio delle competenze. Decisivo, infatti, non è solo quanto si scrive su un documento ufficiale di valutazione, ma come questo viene utilizzato e gli effetti che provoca nelle relazioni educative e formative tra tutti i soggetti in campo, a partire, in particolare, dallo studente stesso. Effetti tutti da documentare in maniera narrativa. La descrizione analitica dei livelli di apprendimento raggiunti in ogni disciplina dallo studente potrebbe quindi confluire nel portfolio dello studente, che diverrebbe questo sì uno strumento formativo di lavoro, in grado di registrare gradualmente e nel tempo, progressi, difficoltà e successi dei percorsi di apprendimento di ogni studente.

In definitiva: giudizi più comprensibili riusciranno a (ri)avvicinare scuola e famiglia?

La questione educativa di fondo è ben più ampia di una semplice, ancorché opportuna, modifica lessicale. L’obiettivo di raggiungere una valutazione degli apprendimenti da un lato più semplice dal punto di vista burocratico per gli insegnanti e dall’altro più chiara nella comunicazione per genitori e bambini passa attraverso un complessivo rilancio della funzione educativa di ogni insegnante e di ogni genitore che, solo in una rinnovata alleanza scuola-famiglia, potranno affrontare insieme anche qualche giudizio che segnala eventuali difficoltà di apprendimento. Altrimenti si rischia di confondere il “dito” con la “luna”. Generando qualche polemica, ma senza intaccare le incrostazioni e i fraintendimenti accumulati dagli anni Settanta del secolo scorso.


Contrario: Ferdinando Ciani, professore di scuola media​

«Valutare significa “dare valore” e non “misurare”. Per questo ritengo un errore ritornare ai giudizi sintetici alla scuola primaria». Da più di vent’anni, Ferdinando Ciani, insegnante pesarese di scuola media, ha abolito i voti nelle proprie classi, preferendo quella che chiama “valutazione dialogica”, fondata sul dialogo e la collaborazione tra docente e alunno e tra scuola e famiglia. Coordinatore del progetto Scuola del gratuito, esperienza nata in seno all’associazione Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, il professor Ciani ha portato l’idea in giro per l’Italia in convegni e incontri con le scuole. Da qui è nato anche il Coordinamento delle scuole senza voto, cui oggi aderiscono decine di istituti, dalla primaria al liceo. Anzi, sottolinea Ciani, sono proprio i dirigenti delle scuole superiori a dimostrarsi tra i più interessati ad adottare questo nuovo sistema di valutazione degli studenti.

Perché è preoccupato da una riforma che ha l’obiettivo di rendere più comprensibili i giudizi degli insegnanti?

Ma non è così. Questa riforma è frutto di un’ideologia pedagogica che potremmo dire fondata sul bastone e la carota. Non è assolutamente giustificabile un passo indietro così repentino, dopo aver fatto un piccolo ma importante passo in avanti in questi ultimi anni. Alla primaria non c’è ancora la valutazione dialogica, ma comunque si sta portando avanti un’idea di valutazione migliore. Ora tutto ritorna in gioco. Tra l’altro, falsando il giudizio dei genitori che sono i primi ad essere soddisfatti della valutazione dialogica, la dove è applicata.

Per quale ragione?

Perché è molto più precisa del voto “secco”. Dice dove lo studente deve migliorare, mettendo allo stesso tempo in evidenza i punti di forza ed i passi in avanti compiuti. In altri termini, aiuta l’allievo a capire il percorso che dovrà affrontare, dando indicazioni e suggerimenti sul come farlo. Con la valutazione dialogica l’insegnante “parla” all’allievo e lo aiuta a migliorarsi. Certo, al docente è richiesto un impegno maggiore. Mettere un “5” è più semplice, richiede certamente meno tempo e uno sforzo minore, ma non aiuta l’alunno.

Però, magari, dice alla famiglia a che punto è arrivato il proprio figlio…

Assolutamente no. Ripeto: il voto non dice nulla. Davanti a un “4” la famiglia capisce solo che il ragazzo va male a scuola. Magari lo punisce, non sapendo, però, perché ha preso quel voto. Perché nessuno lo ha spiegato ai genitori. Limitarsi a mettere un voto non aiuta nessuno. L’unica strada è il dialogo e il confronto sia con lo studente che con i suoi genitori. E questo vale soprattutto per le famiglie meno attrezzate culturalmente, che più delle altre devono essere aiutate a capire che il voto non definisce il proprio figlio. È anche per questo che ritengo sbagliato un ritorno ai giudizi sintetici. Che, inevitabilmente, portano alla competizione tra studenti. Ma l’unica competizione utile è con sé stessi, per migliorarsi.

Come si può cambiare rotta?

Occorre uscire dalla logica del profitto, della competizione, della lotta perenne con gli altri che condanna l’essere umano all’infelicità.

Che cosa direbbe ai politici che stanno pensando alla riforma della valutazione?

Dovrebbero fare un bel bagno di umiltà e ascoltare le scuole e le famiglie. Che, lo ripeto ancora, in grande maggioranza promuovono la valutazione dialogica, che sostiene soprattutto gli studenti che fanno più fatica. Il mio appello alla politica è di guardare con attenzione alle tante sperimentazioni che, spontaneamente, stanno venendo avanti. Non soltanto con i bambini della scuola primaria, ma anche alle superiori, con gli studenti più grandi. Stimolando allo stesso tempo un nuovo e più proficuo rapporto con le famiglie.