L'intervista / 2. Nicola Rossi: «Meglio di niente, ma non è una vera privatizzazione»
«Usiamo i termini giusti – premette nella risposta Nicola Rossi, tornato a fare il docente di economia a Tor Vergata dopo essere stato per tre legislature parlamentare (del Pd, poi gruppo misto) e presidente di ItaliaFutura –: tecnicamente, la privatizzazione si ha solo con la cessione effettiva del controllo di un’azienda. In questo caso, invece, il controllo dello Stato rimane di fatto completo».
Questa allora cos’è? Solo una cessione per fare cassa?
Praticamente. O meglio, per ridurre il debito pubblico. Detto ciò, è senz’altro meglio questo che niente.
Però, guardando alle cessioni future, lo Stato rinuncia anche ai dividendi.
Guardi, in un Paese che ha un debito quasi al 133% del Prodotto interno lordo, tutto ciò che va nel senso di ridurre il perimetro dello Stato è solo benvenuto. Non si dovrebbe nemmeno perdere tempo a discutere.
Eppure proviamo a farlo. D’altronde, lei stesso non sembra entusiasta.
Non lo sono per le tecnicalità dell’operazione. Oltre alla mancata cessione del controllo, è per me evidente che sarebbe stato più utile – prima di procedere a questa dismissione – separare le attività finanziarie da quelle postali, da regolare in modo distinto. Ma ci sono evidentemente ragioni molto meno apparenti che hanno consigliato di lasciare le cose così.
Quali ragioni?
Penso che ci sia stato un patto con il sindacato, che è storicamente forte dentro Poste: deve aver dato il suo assenso solo a queste condizioni.
E le azioni date ai dipendenti?
Vedremo come avverrà questo processo e quali saranno le motivazioni. Comunque ho l’impressione che sia anch’essa una merce di scambio.
Peraltro si va a incidere in un settore ancora non liberalizzato.
È un’altra pecca. Una buona liberalizzazione non prevede che un’azienda a maggioranza pubblica operi in settori liberalizzati e in concorrenza con soggetti privati. Peraltro, in questa dismissione starei attento a valutare anche il rendimento e l’efficienza del servizio: malgrado i progressi dell’azienda, sono ancora lontanissimi dagli standard europei.
Cosa vede allora di positivo in questa mossa?
In ogni caso nel management entreranno altri amministratori, e questo implicherà più disciplina perché dovranno render conto a diversi azionisti, non più solo al Tesoro.
Passiamo alle privatizzazioni future: cosa andrebbe fatto?
Quello che è già noto. C’è un elenco sterminato di municipalizzate che, se le andiamo a guardare da vicino, in molti casi sono aziende già in crisi, perché decotte. Con esse cresce solo la spesa pubblica e si alimenta l’ingerenza della politica. È come se lo Stato spendesse, in modo indiretto e molto opaco, per dei sussidi di disoccupazione.
Il giudizio sull’altro provvedimento del Consiglio dei ministri, quello sul rimpatrio dei capitali?
Il tema dei rapporti con la Svizzera andava affrontato. Più che altro, sarebbe interessante utilizzare questi capitali per fondi da dedicare alle imprese, in modo da supplire alla carenza di credito. Ma forse sarebbe un’operazione troppo complessa. Anche se noto che il governo ha garantito comunque che ci sarà una finalizzazione 'utile'.
Il governo ha affrontato anche il capitolo delle detrazioni fiscali, rinviando il taglio. Questo è positivo?
Al contrario. È un pessimo segnale perché lo Stato perde un risparmio. Temo che possa preludere a un altro aumento delle tasse. Il governo ha promesso però che troverà le risorse con la revisione della spesa. Vedremo. Il banco di prova dei nuovi attori della maggioranza e, più in generale, dell’intera Terza Repubblica sarà proprio il processo qualificante di revisione della spesa. Altrimenti, temo che tutto resterà come prima.