Attualità

Analisi. Sì, è stato un Meeting poco “politico” (e il problema è della politica)

Paolo Viana lunedì 26 agosto 2024

Il ministro del Esteri Antonio Tajani al Meeting di Rimini 2024

Qualcuno si è sorpreso che la Meloni non sia andata al Meeting. Qualcun altro che non ci sia andata la Schlein. Molti che i ministri ci siano andati ma che non si sia assistito alla solita escalation di applausi e polemiche. Persino lo stand-monstrum del Mit e l’immagine di Salvini sul trattore di Confagricoltura non sono diventate, come sarebbe stato in altri tempi, l’icona giornalistica di quest’edizione della kermesse riminese. Eppure, è strano sorprendersi. Per due ragioni.

La prima è matematica. Per fermarci alle ultime elezioni europee, non ci sono mai stati così pochi votanti: meno di un elettore su due ha deciso di esercitare il proprio diritto di voto. Di fronte a un disinteresse così palese, come sorprendersi che il cittadino medio non penda dalle labbra dei politici? Come sbigottirsi se emerge che l’interpretazione politica del Meeting è più una fissazione dei giornalisti – non è mancato neanche questa volta chi si è arrovellato sulle ascendenze destrorse o sinistrissime di CL – che una reale domanda sociale? Su questo punto – azzardiamo, semmai - ci si dovrebbe interrogare sulla sintonia reale tra media e lettori italiani, ma il tema è un altro. Ossia: se quasi 900mila persone affollano per giorni e giorni una fiera dove i politici fanno a gara per apparire, ma non se li filano, cosa ci va a fare tutta questa gente a Rimini?Anche su questo punto ci soccorre la matematica. I visitatori della 45esima edizione del Meeting si sono concentrati nei convegni e nelle mostre, negli spettacoli e nei ristoranti. Hanno seguito anche i politici, ma come “creatori di contenuti” e non come portatori di una immagine di potere. Hanno ascoltato, forse discusso, ma si sono dimostrati nettamente migliori dei loro rappresentanti che ancora si accapigliano sulle proprie (sottolineo, proprie, cioè che interessano solo a loro) chiacchiere.

La seconda spiegazione riguarda i ciellini, che di quei 900mila visitatori rappresentano una discreta quota. Da tempo, ispirandosi al cammino compiuto in parallelo dai memores, il popolo del Meeting ha acquisito una missionarietà laica che consiste nell’aprirsi all’altro, ma non indiscriminatamente. Uno degli aspetti più fraintesi dello stile Meeting è che l’amicizia, l’incontro, l’abbraccio di chi la pensa diversamente siano dei doni spensierati. In realtà, chi entra nel programma del Meeting è accolto non solo perché è diverso ma perché ha qualcosa di interessante e costruttivo da dire. È un creatore di contenuti. Sulla sincerità di quello sforzo creativo nasce l’amicizia e avviene l’incontro che si celebra a Rimini, offrendo quei contenuti a chiunque ne voglia approfittare. L’alternativa a questo stile di esplorazione missionaria sarebbe la selezione per appartenenza, la chiusura settaria, la dinamica amicus-hostis, che per l’appunto fonda la politica, particolarmente quella fine a se stessa. Invece, il Meeting vive anche di politica e anche senza la politica. Perché la politica non è tutto. A Rimini, come nella vita.