Libia. Medici senza frontiere torna in mare: “Mediterraneo, una catastrofe deliberata”
“Non possiamo restare in silenzio di fronte a questa catastrofe deliberata. Il supporto dell’Europa a questo drammatico ciclo di sfruttamento e sofferenza deve cessare al più presto. Gli Stati membri devono garantire che venga riattivato con urgenza un meccanismo di ricerca e soccorso dedicato e proattivo, guidato dagli Stati, nel Mediterraneo centrale”. Con queste parole Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere in Italia, annuncia il ritorno in mare dell’organizzazione umanitaria.
La nuova nave si chiama Geo Barents, un gigante di quasi 80 metri che batte bandiera norvegese, entro fine maggio sarà in acque internazionali, nell'area marittima di ricerca e soccorso libica. È stata costruita nel 2007 e ha operato come nave per le analisi geologiche prima di essere noleggiata da MSF e adeguata alle attività di ricerca e soccorso.
“Nel Mediterraneo centrale si continua a morire, in un desolante vuoto di capacità di soccorso. Come organizzazione medico-umanitaria assistiamo persone vulnerabili ovunque nel mondo da 50 anni. Di fronte alle morti incessanti e alla colpevole inazione degli Stati - dice Claudia Lodesani, presidente di Msf Italia - siamo obbligati a tornare in mare per portare soccorso, cure e umanità, facendo la nostra parte per fermare queste tragedie evitabili”.
MSF/Avra Fialas
La “Geo Barents” ha due ponti per accogliere le persone soccorse, uno per gli uomini, l’altro per donne e bambini. Ospita una clinica, una stanza ostetrica e una per le visite, dove le équipe svolgeranno le attività di assistenza medica. La nave è dotata di due gommoni veloci (rhib) che verranno utilizzati durante le operazioni di soccorso. A bordo 20 operatori di MSF e 12 persone per l’equipaggio marittimo.
L’organizzazione, che ha subito svariate inchieste per le attività di soccorso e mai una condanna neanche in primo grado, per la prima volta nel 2015 aveva partecipato ad operazioni di soccorso “per supplire al vuoto lasciato dalla chiusura di Mare Nostrum e rispondere a un numero inaccettabile di morti”,spiega una nota. Da allora le équipe mediche hanno operato su sette diverse navi umanitarie, anche in partnership con altre organizzazioni, partecipando a oltre 680 soccorsi e contribuendo ad assistere oltre 81.000 persone.
Da inizio anno più di 500 tra uomini donne e bambini sono morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale. Il naufragio del 22 aprile, con 130 morti dopo che nessuna autorità era intervenuta in due giorni di Sos, sono stati la riprova dell’inerzia dei Paesi Ue e della necessità di tornare in mare anche per documentare quello che accade.”Chi sopravvive - aggiunge Medici senza frontiere - rischia di essere intercettato dalla guardia costiera libica supportata dall’Unione Europea e riportato con la forza in Libia (7.000 solo quest’anno). La maggior parte di loro finisce rinchiuso arbitrariamente in pericolosi centri di detenzione dove sono esposti a maltrattamenti, stupri, sfruttamento e perfino la morte”.
I governi europei, “in particolare Italia e Malta come stati costieri più coinvolti, hanno progressivamente abbandonato l’attività di ricerca e soccorso - denuncia ancora Lodesani -, hanno smesso di assistere le persone in pericolo e hanno deliberatamente ostacolato, se non criminalizzato, l’azione salvavita delle organizzazioni in mare. Queste politiche hanno lasciato alla deriva migliaia di uomini, donne e bambini, a rischio di annegare lungo il confine meridionale d’Europa”.