Attualità

Medici & aborti: il diritto di dire "basta"

Daniele Piccini giovedì 3 novembre 2011
Quando le proprie ragioni si indeboliscono il rimedio più a buon mercato è screditare le ragioni altrui. L’assioma, pilastro della sofistica greca, sembra confermato anche dalle recenti dichiarazioni pubbliche della «Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della 194» (Laiga), riunitasi qualche giorno fa a Roma per il suo primo convegno nazionale. I medici disposti a praticare l’interruzione volontaria di gravidanza – questo in sintesi il j’accuse di Silvana Agatone, presidente della Laiga – diminuirebbero di numero di anno in anno tanto da mettere in pericolo l’applicazione stessa della legge 194. Il motivo è che «quasi tutti i nuovi medici assunti fanno obiezione di coscienza, alcuni per scelta ma molti per carriera e per non finire in un ospedale di "confino" dove si fanno soltanto aborti. Così – conclude la Agatone – i servizi si svuotano, le donne emigrano o approdano di nuovo alle cliniche clandestine».
Almeno sui numeri la Agatone ha senz’altro ragione. La Relazione 2011 sull’applicazione della legge 194 parla chiaro. Nel 2009 (anno a cui si riferiscono i dati consegnati al Parlamento dal Ministero della Salute), dopo lunghi periodi di crescita, le percentuali dei medici obiettori di coscienza si sono stabilizzate su quote tanto alte da destare attenzione: i ginecologi obiettori di coscienza sono 3.985 (il 70,7% del totale), gli anestesisti 3.799 (51,7%), 10.473 gli infermieri (44,4%). Ben più discutibile la tesi che siano solo ragioni di "opportunismo" a orientare la loro scelta. «Senz’altro ci saranno pure medici che per opportunismo si fanno obiettori di coscienza in materia di 194 – spiega Giuseppe Noia, docente di Medicina prenatale all’Università Cattolica di Roma –. Ma la parte più consistente dei medici obiettori si è formata dalla raggiunta consapevolezza dei danni psicologici e fisici provocati dall’interruzione di gravidanza. Sono aumentati i metodi abortivi, ma anche la conoscenza dei danni provocati dall’aborto. Lo chiamano aborto terapeutico, ma uccidere un feto non è una terapia. Le donne che hanno abortito, infatti, cadono spesso in depressione e hanno sette volte di più la probabilità di suicidarsi rispetto alle altre. Oggi insomma – conclude Noia – il medico sembra volersi riappropriare della sua identità: una figura professionale a servizio della vita e non della morte».
Ma la Relazione confuta un’altra tesi della Laiga. La progressiva diminuzione del numero degli aborti (118.579 nel 2009, -2,2% rispetto al 2008) non dipende certo dall’aumento degli obiettori: il calo dei tempi di attesa tra il rilascio della certificazione e l’intervento indica infatti che l’obiezione di coscienza non ha una diretta incidenza sul ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza. «L’obiezione di coscienza – spiega Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute – non impedisce che la legge 194 venga applicata. I tempi di attesa sono diminuiti e nel 60% dei casi sono di appena una settimana. La legge 194, attraverso contratti ad hoc e il ricorso a cliniche convenzionate, prevede dispositivi per garantire l’attuazione della legge stessa. Non direi dunque che tra le emergenze sanitarie italiane ci sia quella dell’accesso alla 194. Nessuno può giudicare i moventi delle scelte degli obiettori. L’obiezione del resto, su temi così delicati, è più che giustificata: alle donne non piace abortire, perché dovrebbe piacere ai medici?».
Nel 1986 Antonio Oriente decise che, anche a lui, non piaceva più tanto. «Ero ginecologo all’ospedale di Mistretta, vicino Messina – racconta Oriente, fondatore nel 2009 dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc), di cui ora è vicepresidente – e oltre a far nascere tanti bambini, aiutavo molte donne ad abortire. Al ritorno a casa mi aspettava mia moglie, pediatra, spesso in lacrime perché avevamo difficoltà ad avere figli. Più si acuivano queste difficoltà più la mia coscienza mi scuoteva davanti a una nuova richiesta di praticare un aborto. In chiesa, davanti alla croce, mi mettevo in discussione: "Chiedo a Dio, che è Padre, di aiutarmi ad avere un figlio e poi uccido i figli degli altri". Promisi a me stesso di non causare più la morte di feti. Di lì a un mese, trovai mia moglie a casa con la nausea da gravidanza: era incinta del nostro primo figlio».