Al mattino Mediaset annuncia un’Opa su tutto il capitale di Rai Way, la società dei ripetitori di Viale Mazzini. Nel pomeriggio il governo risponde «no, grazie»: l’offerta ha una valenza positiva ma la maggioranza della società non sarà ceduta. Niente scalata alle torri tv. Nel mezzo, una lunga giornata di allarmi e grida sui rischi per la libertà di informazione e di sospetti politici su un nuovo 'patto del Nazareno' in versione televisiva, dopo che Renzi ha annunciato la riforma della Rai. È la cronaca provvisoria del caso politico-editoriale divampato ieri con la notizia che EI Towers, società controllata dalla berlusconiana Mediaset con il 40%, vuol tentare l’assalto a Rai Way, la costola della Rai proprietaria di 2.300 torri di trasmissione e recentemente quotata in Borsa. La Tv di Stato ne controlla ancora il 65%. L’offerta pubblica di acquisto riguarda il 100% del capitale a 4,5 euro per azione pagati in parte in contanti e in parte in azioni. La controllata Rai era stata collocata a Piazza Affari il 19 novembre scorso a un valore di 2,96 euro e ne valeva circa 3,7 lunedì scorso. Dopo l’annuncio è balzata su di oltre 9 punti, a 4,05 euro, avvicinandosi alla quota d’offerta. Sul piatto la società che fa capo a Silvio Berlusconi mette fino a 1,2 miliardi di euro: 69% in contanti e il restante 31% sotto forma di azioni Ei Towers. Se la Rai aderisse all’offerta, si ritroverebbe così con circa il 15% della nuova società mentre la quota Mediaset sarebbe diluita. Per la società pubblica il guadagno sarebbe del 22% rispetto ai prezzi pre-Opa e del 52,7% rispetto all’ingresso in Borsa.
Ma EI Towers subordina il completamento dell’operazione a tre condizioni vincolanti: la prima è il raggiungimento di almeno di due terzi del capitale, cioè il 66,67% delle azioni; la seconda è il via libera incondizionato dell’Antistrust; la terza è l’ok della Rai e del governo a continuare a svolgere le proprie attività avvalendosi di Rai Way anche dopo il passaggio di mano. L’obiettivo, afferma un comunicato della controllata Mediaset, è la «creazione di un grande operatore unico nazionale nel settore delle infrastrutture destinate agli apparati televisivi radiofonici » e «delle telecomunicazioni». Fin qui le caratteristiche dell’Opa. Che alle condizioni richieste pare già pregiudicata. Infatti da un lato non è affatto scontato che l’autorità per la concorrenza possa acconsentire al costituirsi di un polo nazionale delle infrastrutture Tv da 5mila antenne. Inoltre, nel decreto varato nel settembre scorso il governo aveva fissato al 51% la quota minima che la Rai deve mantenere nel capitale di RaiWay «a garanzia della continuità del servizo erogato» dalla controllata. Circostanza ben nota anche a Mediaset. Il governo lo ha esplicitamente ricordato nel comunicato di ieri pomeriggio: data «l’importanza strategica delle infrastrutture di rete» il controllo non sarà ceduto. Un chiaro stop alla scalata, come chiesto a gran voce ieri dal tutto il Pd e in particolare dalla minoranza. Il governo aggiunge comunque che la presentazione dell’offerta «conferma l’apprezzamento da parte del mercato della scelta di valorizzare la società delle torri Rai, facendola uscire dall’immobilismo» e aggiunge che la quotazione in Borsa si è rivelata un successo». Caso già chiuso quindi? O magari ci sarà spazio per soluzioni diverse da quelle annunciate? Da Palazzo Chigi filtra il convincimento che «sono finite le rendite di posizione del duopolio». Il mondo politico è in fibrillazione. Tanto più che il governo ha annunciato una riforma della Rai. Il M5S si appella all’Antitrust e sospetta una «versione tv del patto del Nazareno» con «una risorsa pubblica fagocitata dal gruppo Mediaset». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Sel. Preoccupata la sinistra del Pd. Pierluigi Bersani si affida all’ironia: «Prima Mondadori-Rcs, poi Mediaset-RaiWay, ora mi aspetto che il Milan compri l’Inter», scrive su Twitter. Poi precisa: è impensabile anche l’acquisto di una quota di minoranza, del 49%. Critiche di altro tenore da Forza Italia. Secondo Altero Matteoli ora la sinistra «dopo aver impedito a Berlusconi di svolgere la sua legittima attività politica vuole impedirgli l’esercizio di quella imprenditoriale».