PIANETA ISTRUZIONE. Processo all’esame di maturità
di Enrico LenziNon un rito, ma «un passaggio necessario in un cammino di formazione». Il professor Giorgio Chiosso, docente di Pedagogia generale all’Università di Torino, da sempre sottolinea «l’importanza dell’esame di maturità». Non una difesa d’ufficio, ma la consapevolezza che «nella scuola c’è la necessità di tappe rappresentate da prove e difficoltà per i ragazzi».Anche in questo caso, il professor Chiosso, pedagogista molto noto e per anni anche consigliere del ministero dell’Istruzione, non intende certo un percorso a ostacoli, ma «c’è la necessità di recuperare in parte anche quell’aspetto selettivo del percorso scolastico, che nel corso degli ultimi decenni si è andato perdendo». Nessun rimpianto per «l’idea del ministro Giovanni Gentile che negli anni Venti del secolo scorso (fu ministro della Pubblica Istruzione dal 30 ottobre 1922 al 1 luglio 1924, ndr) vedeva l’esame di maturità come un passaggio per selezionare la futura classe dirigente – sottolinea Giorgio Chiosso –, ma credo che sia utile introdurre qualche elemento di selezione».E su questo punto non si può non entrare nel cuore della questione: l’attuale struttura dell’esame di maturità. «Personalmente credo che sarebbe meglio avere una commissione esaminatrice composta interamente da docenti esterni, come era un tempo» dice il pedagogista non nascondendo la contrarietà all’attuale composizione della commissione: metà interni e metà esterni. Ma anche la formulazione delle prove scritte non convince totalmente il docente di Pedagogia generale. «Non intendo certo sostenere il ritorno ai molti scritti che erano previsti prima della riforma della maturità nel 1968 – precisa Chiosso –, ma metterei qualche prova scritta un po’ più analitica su alcune materie, in modo da superare quello che comunemente si definisce "il quizzone". Oggi l’esame appare troppo facile».Ma proprio da questa constatazione, il professor Chiosso non arriva a chiederne l’abolizione, ma, al contrario, «un recupero di severità», anche se non si nasconde che il problema ha radici più profonde. «È in discussione il carattere che si vuole attribuire alla scuola – spiega il pedagogista –: un percorso che punti alla promozione e all’elevazione globale della preparazione culturale dei ragazzi, oppure un percorso che ha in sè elementi di meritocrazia, e che possa far emergere le capacità dei singoli». Due visioni di scuola che «inevitabilmente hanno ripercussioni anche sul peso e la presenza di tappe e prove come la maturità. In questi decenni si è puntato su una scuola "promozionale" e molto meno sulla selezione». Un esempio? «La scomparsa dell’esame di quinta elementare, che fa salire alla terza media, il primo vero esame per gli studenti italiani». Forse un ritorno «a elementi che promuovano il merito», potrebbe essere l’occasione per un rilancio vero della maturità, e «della scuola intera». L'ACCUSA«Basta il modello setaccio: abbiamo bisogno di tutti»
di Paolo Ferrario «Da 150 anni pensiamo la scuola come una sorta di setaccio: si parte in 100 per arrivare in 50. Oggi questo modello non funziona più, non ce lo possiamo più permettere». Ecco perché bisogna cambiare l’impostazione dell’esame di Stato, secondo Giuseppe Bertagna, direttore del Centro per la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento dell’Università di Bergamo, già consulente del ministro Moratti. Che cosa non ci possiamo più permettere, professore? Il setaccio andava bene quando ogni classe di età era composta da un milione di persone. Oggi ne abbiamo meno della metà e abbiamo bisogno di tutti, non ci possiamo permettere di perdere per strada nessuno, ma dobbiamo cercare di valorizzare al massimo le eccellenze di ciascuno. Quali correttivi andrebbero introdotti nel sistema di valutazione?Utilizzare un criterio omogeneo e uniforme su tutto il territorio nazionale è velleitario e denuncia tutti i limiti di un sistema che non funziona più. Oggi l’attendibilità delle votazioni è aumentata in maniera significativa, ma abbiamo ancora enormi differenze tra regione e regione: in alcune i 100 sono molto rari e in altre invece abbondano. E anche i correttivi, gli aggiustamenti tecnici introdotti non hanno fatto altro che confermare il problema. Che è qualitativo e non si può risolvere con accorgimenti tecnici. Che cosa è necessario fare, allora? Dobbiamo pensare ad un cambio di paradigma, per passare da un sistema preordinato a un modello dove non esiste un paradigma predefinito e uguale per tutti, ma lo standard di riferimento va calibrato al contesto, all’ambiente sociale dove le persone sono inserite e dove possono manifestare e valorizzare le diverse intelligenze. Insomma: non esiste soltanto il liceo... Proprio così. Non tutti hanno il pallino della matematica o della linguistica: esiste anche la “manistica”, che deve essere anch’essa valorizzata. Per farlo occorre aumentare la variabilità dei percorsi formativi, che non devono avere come orizzonte di riferimento il superamento di un esame, ma devono coprire tutto l’arco della vita. Abbiamo le risorse per mettere in campo un cambiamento di così vasta portata? Nel 2001 cercammo di introdurre correttivi che andassero in questa direzione ma furono rifiutati dal sistema. È chiaro, però, che un sistema fondato su selezione e standardizzazione non può più funzionare. Le questioni sul tappeto sono molte e richiederanno tanto tempo per essere comprese. Ma questo è un processo irreversibile, da cui dipende il futuro del Paese.