Attualità

Il dibattito. Maturità, riforma bocciata

Paolo Ferrario martedì 30 settembre 2014
Non convince gli addetti ai lavori, l’idea del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, di cambiare la composizione delle commissioni per l’esame di maturità, prevedendo esclusivamente commissari interni alla scuola con l’unica eccezione del presidente. Una figura, ha detto in un’intervista, «di garanzia, che non deve arrivare per forza da fuori provincia». La ragione del cambiamento l’ha spiegata lo stesso ministro: «L’esame di maturità – ha detto a Repubblica – deve perdere quell’aspetto da giudizio divino, che tra l’altro lo ha fatto diventare costoso». Ancora una volta, il problema pare proprio essere economico e, con la prospettiva di dover assumere 148mila insegnanti il prossimo settembre, come annunciato nel rapporto “La buona scuola”, ogni risparmio è benvenuto. Anche se, in questo caso, si tratterebbe di poche decine di milioni. Per l’esattezza 163 milioni di euro, cifra che il Miur ha speso nel 2013 per pagare le commissioni d’esame. «Se lo scopo è risparmiare – attacca Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici – allora tanto vale abolire direttamente l’esame e non se ne parli più». Rembado è nettamente contrario alle commissioni soltanto interne, perché «i ragazzi sarebbero valutati due volte dalle stesse persone», prima nel consiglio di classe e poi in sede d’esame. «È un doppione di cui non si sente la necessità », aggiunge. «Con una media del 98% di promossi – ricorda – non si può certo dire che la maturità sia un esame severo e questo lo sanno bene le università, presso cui questa prova ha una credibilità molto bassa. Se togliamo anche il giudizio esterno, la distruggiamo definitivamente».  Nettamente contrario al metodo seguito dal ministro è anche Giuseppe Bertagna, docente di Pedagogia all’Università di Bergamo e ispiratore della riforma Moratti del 2003. Anche allora si valutava la possibilità di nominare commissioni d’esame soltanto interne, ma «questo era l’ultimo passo di una riforma complessiva della scuola superiore di cui, in questo caso, non c’è traccia».  Bertagna riconosce al governo di aver dato alla proposta una valenza esclusivamente contabile, senza rivestirla di «significati pedagogici che non ha e non potrà avere». «È un mero espediente di bilancio – aggiunge l’esperto – acqua tiepida senza alcun significato strategico». Se l’obiettivo è quello annunciato dal ministro, secondo Bertagna si doveva procedere diversamente, «cominciando con il cambiare radicalmente l’impostazione della scuola superiore e i metodi di valutazione». «Se uno studente è abituato ad essere periodicamente valutato dall’esterno – spiega – allora può avere un senso la commissione interna. Così, invece, mi pare soltanto un’ulteriore e inutile complicazione del tema del merito».  Sull’inutilità della riforma proposta dal ministro Giannini, concorda anche il segretario del sindacato autonomo Anief, Marcello Pacifico. «Che senso ha affidare ai docenti del solo consiglio di classe la valutazione degli alunni partecipanti agli esami conclusivi del secondo ciclo scolastico? – domanda – Tanto varrebbe, allora, non svolgere quelle prove. Anche in questo caso, l’impressione è che si stia guardando solo alla necessità di centrare gli obiettivi finanziari e non quelli didattico- pedagogici, che invece dovrebbero guidare qualsiasi operazione sulla scuola». «Ci eravamo illusi, studiando la bozza del testo di riforma, che si volesse rilanciare la maturità collegandola al mondo del lavoro – conclude Pacifico – Se invece si vuole svilire il diploma di maturità, forse come prima tappa verso l’assurda perdita del suo valore legale, allora lo si dica subito. Anziché far intendere al Paese, come ha fatto il premier Renzi solo poche settimane fa in occasione della presentazione delle linee guida, che lo Stato avrebbe investito nella scuola 3 miliardi di euro».