Sindaci che sbattono la porta in faccia ai prefetti. Prefetti che nominano commissari per far rispettare le loro disposizioni in materia di nozze gay. Denunce contro gli uni e gli altri da associazioni di opposto orientamento. In mezzo c’è la gente, che stenta a capire quale sia la partita in corso. Una partita rilevante, come ci ricorda il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli: perché in gioco c’è il profilo del matrimonio nel nostro Paese.
Alcuni sindaci si rifiutano di cancellare la trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero, in nome della legge. Qual è il suo giudizio? La tenuta dei registri di stato civile è competenza dello Stato, perciò l’intervento dei prefetti è assolutamente legittimo. Oggi c’è un ostacolo insormontabile nella nostra legislazione rispetto alla trascrizione di quegli atti, e questo a prescindere dal fatto che siano stati creati in un altro Paese secondo le sue leggi. Siamo di fronte a una contesa di carattere politico con la quale il diritto ha davvero poco a che vedere, una strategia del fatto compiuto che rende la discussione poco trasparente.
Si dice che le nozze vanno trascritte perché altrove sono ammesse... È uno strano criterio. La sua applicazione all’elenco delle pratiche consentite in altri Paesi e non da noi ci porterebbe molto lontano. Bisogna rispettare l’identità di ciascuno Paese, invece ora si pone la questione in termini di diritto all’uguaglianza. Ho più di un dubbio sul fatto che sia un approccio corretto, anche perché all’estero le discipline in materia sono le più diverse.
Davvero c’è una discriminazione verso le coppie formate da persone dello stesso sesso? Dipende dall’idea che si ha dell’istituto matrimoniale. Se si segue la radicata tradizione per la quale è un’unione tra un uomo e una donna si sottolinea la generatività tra i soggetti coinvolti, negata alla radice in altri casi dove ci possono essere unità affettiva e sostegno reciproco, meritevoli senz’altro di rispetto ma non generatori di un profilo matrimoniale.
Non basta allora cambiar nome all’istituzione... Occorre verificare quali sono i diritti individuali coinvolti. Irrigidendosi in una posizione di sfondamento politico del diritto vigente si omette un ragionamento che salvaguardi la natura delle cose e insieme verifichi quel che c’è di solidaristico in una relazione tra due persone di sesso uguale e quali altri diritti individuali possono configurarsi, senza cercare una torsione dell’istituto matrimoniale per estenderlo ad altre relazioni. È in questione un nodo culturale: che tipo di protezione si vuol dare alla famiglia che la Costituzione prevede?
Cosa dovrebbero fare i sindaci? Devono tenere i registri di stato civile così come lo Stato prescrive, perché – lo ripeto – sono registri dello Stato e non del Comune. E se il prefetto dispone la cancellazione di atti trascritti devono farlo. Si aprirà un contenzioso che potrebbe portare a qualunque indirizzo interpretativo giurisprudenziale: di orientamenti creativi ne abbiamo già visti molti... È indispensabile che in questo ambito ci sia certezza del diritto e uniformità di applicazione.
Un sindaco può resistere a un’ingiunzione del prefetto? Lo fa, affermando che è legittimo mentre non lo è, ma l’intento è di giurisdizionalizzare il problema per ottenere sul piano giudiziario quel che non viene disciplinato sul piano normativo. Se poi venisse sollevata una questione di legittimità costituzionale, si dovrebbe fare i conti con decisioni della Consulta che hanno ritenuto l’esistenza di una formazione sociale che ha rilevanza e va disciplinata individuandone con precisione i diritti ma senza mai includerla nello schema dell’articolo 29 della Costituzione. La Cassazione dal canto suo nel 2012 ha detto con chiarezza che non c’è un diritto a veder trascritto in Italia un matrimonio tra due persone dello stesso sesso contratto all’estero.
Alcuni sindaci si sono appellati alla normativa europea in materia. È un argomento rilevante? La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia dell’Unione europea non impone affatto di uniformare le discipline nazionali, e neppure potrebbe farlo. È sempre riconosciuto un margine di discrezionalità degli Stati. C’è la tendenza a 'tirare' il diritto dalla propria parte, ma questo è tipico del gioco politico, non dell’ambito giuridico. Questo approccio però non aiuta una discussione serena su quel che è giusto e opportuno, socialmente, giuridicamente e istituzionalmente.
La vulgata corrente è: 'che male c’è?'. Come risponde? Decidere i diritti ciascuno a modo proprio è l’espressione di una deriva individualista che rischia di portarci molto lontano. Chi può fermare la richiesta di vedere riconosciuta la poligamia, se si ritiene che basti il consenso di persone adulte e consapevoli che seguono la propria impostazione ideale e magari anche religiosa? C’è la tendenza a passare da una visione istituzionale pubblicistica del matrimonio a una puramente negoziale e privatistica. Qui si aprono riflessioni più generali: sono stati censiti 35 tipi di relazione 'familiare' incrociando ogni possibile assetto. Una sfida simile si può affrontare seriamente solo evitando forzature.