Il problema sono i soldi. I boss della ’ndrangheta ne hanno troppi. E non è sempre facile ripulire una montagna di euro di provenienza illecita. Ma il migliore alleato della ’ndrangheta è la crisi economica che ha provocato un disperato fabbisogno di liquidità. Centinaia di aziende non riescono ad ottenere ossigeno da banche e creditori. È così che gli emissari dei boss calabresi si infiltrano nel mercato legale, colonizzando interi pezzi del nostro Paese.
Le avvisaglie in Umbria c’erano già state. Nel 2011, nel corso di una operazione antimafia furono arrestate una ventina di persone e sequestrati, solo a Perugia, 300
appartamenti e 2 alberghi. Secondo diverse fonti di intelligence, nella regione sono oramai consolidati i contatti tra uomini dei clan ed esponenti della massoneria, grazie ai quali i capobastone
calabresi hanno potuto sedere ai tavoli che contano. Gia tre anni fa le cronache registrarono un episodio inquietante. Un noto imprenditore di Città di Castello venne espulso dal Grande Oriente d’Italia, la massoneria di Palazzo Giustiniani.
L’uomo era stato uno dei tramite usati da Vincenzo Barbieri (narcotrafficante internazionale ucciso nel 2012) e un alto funzionario del Credito Sammarinese, grazie a cui venivano messi al sicuro i proventi illeciti. L’allontanamen-to
avvenne dopo che si seppe dell’inchiesta. Ma quanti altri massoni in odore di mafia circolano indisturbati? Solo a Perugia (166mila abitanti) si contano 18 logge, 31 in tutta la regione. Una predisposizione alla segretezza che i padrini arrivati dal Sud sanno come valorizzare.
Nel resto d’Italia le cose non sono molto differenti. Appalti,
infiltrazioni nelle amministrazioni pubbliche, connivenze con la politica, affari di ogni genere: dall’edilizia alle società finanziarie. I tentacoli della piovra calabrese sono saldamente stretti sulle regioni più ricche: Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Lazio. I processi e le indagini più recenti attestano infatti la capacità della ’ndrangheta di mettere radici e consolidarsi in modo strutturato in realtà territoriali anche lontanissime dalla
'casa
madre'.
La Liguria è un caso simbolo. Ventuno famiglie, quasi tutte di ’ndrangheta e qualcuna di camorra e mafia siciliana che con la criminalità organizzata hanno stretto patti di sangue. In provincia
di Imperia sono le famiglie del Reggino, della Piana, di San Luca, Seminara e Palmi a fare la parte del leone: i Palamara impegnati nel traffico di stupefacenti, i Pellegrino-Barilaro, imprenditori nel settore del movimento terra ed edile, i Maffodda di Palmi che hanno base ad Arma di Taggia e gli Sgrò di Palmi, imprenditori edili in affari con i Tagliamento (Napoli). In provincia di Savona, sono due le ’ndrine al lavoro: la famiglia Gullace, specializzata nelle estorsioni che ha radici a Cittanova (Reggio Calabria) e la famiglia Stefanelli, imprenditori provenienti da Oppido Mamertina e Africo. A Genova lavora nel commercio il gruppo Gangemi, il cui capobastone presiede la locale di ’ndrangheta
mentre il gruppo Nucera-Roda’ controlla il locale di Lavagna ed e’ impegnato nel settore alberghiero. A questi due locali fanno riferimento i Monachella-Morso (gioco d’azzardo), i siciliani Fiandaca (ex fedelissimi dei Madonia, ristoratori in Liguria), i Macri’ di Mammola (Reggio Calabria),
i Caci (prostituzione
e riciclaggio), i siciliani Lo Iacono (lavori stradali e edilizia), i campani Agiollieri legati al clan camorrista Gionta, impegnati nel commercio ma anche i Facchineri e i potenti Canfarotta di Palermo che tanto denaro investono nel campo immobiliare.
Alla Spezia il locale di ’ndrangheta di Sarzana e’ guidato dai Romeo, provenienti da Roghudi (Reggio Calabria), imprenditori immobiliari come i De
Masi di Sinopoli.
Analoga la situazione in Piemonte, territorio che proprio per la presenza di fortissime infiltrazioni, non solo promette buoni affari, ma è in grado di sopportare il peso della gestione di importanti latitanti, non di rado capaci di fare la spola tra
Italia e Francia.
In Lombardia l’insediamento della ’ndrangheta e’ organizzato in 15 'locali' (organizzazione che opera su base territoriale, composta da almeno 50 affiliati) per complessivi 500 affiliati circa. «Dunque – osservano dalla procura nazionale antimafia – siamo a qualcosa di molto simile rispetto a quanto si riscontra in Calabria. I soggetti che hanno sviluppato le strutture in questione operano secondo tradizioni di ’ndrangheta: linguaggi, riti, doti, tipologia di reati sono tipici della criminalita’ della terra d’origine e sono stati trapiantati in Lombardia dove la ’ndrangheta si e’ trasferita con il proprio bagaglio di violenza».