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Femminicidi. A Padova l'ultimo addio a Giulia: «Sia un messaggio per il mondo»

Viviana Daloiso lunedì 4 dicembre 2023

Giulia in un murales realizzato a Milano dall'artista Fabio Ingrassia

Guardare al futuro, al frutto che anche la morte di Giulia Cecchettin può portare con sé: è il senso dell’appello che sarà lanciato dal padre della giovane nella basilica di Santa Giustina a Padova, dove per dire addio alla giovane uccisa a Vigonovo sono attese oltre diecimila persone. Famiglie, gruppi di amiche, genitori con i figli, studenti, chi addirittura ha chiesto il permesso al lavoro e s’è spostato dalla Lombardia, dal Trentino: «Abbiamo scelto una chiesa grande – ha spiegato Gino Cecchettin – affinché arrivi un messaggio di grande partecipazione, e lo abbiamo voluto perché arrivi con forza anche il nostro messaggio per il mondo», quello che l’uomo leggerà davanti a tutti al termine delle esequie, celebrate dal vescovo Claudio Cipolla, per dire che la storia di Giulia va presa come «un esempio per trasformare la vita di altre ragazze in futuro».

Padova s’è preparata all’evento con una macchina eccezionale di volontari della Protezione civile e della Croce Verde, oltre che di agenti: alle 9 del mattino l’apertura di Prato della Valle, tra le piazze più grandi d'Europa, alla folla che potrà seguire la cerimonia dai maxischermi. In chiesa “solo” 1.200 persone, strette attorno alla famiglia. Nel pomeriggio un’altra funzione a Saonara, vicino a Vigonovo, dove Giulia riposerà accanto alla mamma, morta a un anno fa. Il governatore Luca Zaia ha proclamato il lutto regionale. «Faccio un appello ai veneti – ha detto –: diamo un segnale durante le esequie di Giulia. Chi può abbassi la serranda, chi può spenga le luci alle 11, per 5, 10 minuti o anche per un’ora». Non si spegneranno al carcere di Montorio, dove Filippo Turetta – reduce dall’atteso e più volte rimandato incontro coi suoi genitori – potrebbe guardare i funerali, trasmessi in diretta tv sia su Raiuno e che su Canale 5. In cella con lui c’è un altro detenuto che già in precedenza si era segnalato per essersi preso cura dei reclusi più in difficoltà, dei “primari” come vengono definiti nel gergo della reclusione quelli che arrivano per la prima volta in una cella. Una sorta di angelo custode che, su richiesta della direzione, ha accettato di stare in cella con Filippo per seguirlo ed evitare gesti estremi da parte del giovane: «È un detenuto come tutti gli altri altri» assicurano dal carcere. Ma gli occhi di tutta Italia oggi saranno puntati ancora una volta su Giulia.

L'incontro coi genitori

«È mio figlio, comunque lo rivedrò». Lo aveva detto, disperato e sotto choc, due settimane fa Nicola Turetta quando Filippo era stato arrestato in Germania, mentre neanche ventiquattro ore prima il corpo senza vita di Giulia Cecchettin era stato trovato in fondo ad una scarpata in Friuli. Il padre e la madre hanno scelto assieme di «non abbandonarlo» quel ragazzo che fino a meno di un mese fa consideravano «un figlio perfetto» e che si è dimostrato capace di compiere un femminicidio atroce, non fermandosi nemmeno di fronte agli strenui tentativi di difesa della 22enne che ha lottato per mezz'ora per salvarsi, invano, la vita. Domenica la coppia è andata ad incontrarlo nel carcere di Verona, dove è detenuto da otto giorni e dopo che mercoledì scorso il gip di Venezia Benedetta Vitolo aveva dato l'autorizzazione alla visita, saltata perché né il giovane né i genitori erano ancora psicologicamente pronti. Nicola Turetta ed Elisabetta Martini sono entrati nell'istituto penitenziario stamattina poco dopo le 12 e sono rimasti a colloquio col figlio circa un'ora. «Grazie per essere venuti da me» avrebbe detto lui che, sin da quando era stato estradato in Italia, continuava a chiedere di poterli vedere.

Hanno pianto, si sono abbracciati e l'ex studente di ingegneria biomedica - stesso corso che frequentava Giulia, che era ad un passo dalla laurea - ha ripetuto parole già usate davanti ai magistrati: «Devo pagare tutto fino alla fine, ho fatto qualcosa di terribile, ho perso la testa, ma non volevo e so che non potrete mai perdonarmi». I due genitori mai si sarebbero immaginati nella vita questa prova: stare vicino ad un figlio che non ha esitato ad infliggere più di venti coltellate a quella ragazza che anche loro conoscevano bene. Hanno lasciato il carcere in lacrime, ringraziando gli agenti della polizia penitenziaria per il loro lavoro di custodia, e hanno promesso al figlio che torneranno.

La ricostruzione di Turetta

Intanto iniziano a mergere dettagli dell'interrogatorio reso al pm da Filippo Turetta. «L'amavo, la volevo per me, non accettavo che fosse finita» è il senso delle parole pronunciate davanti al magistrato, durante un incontro durato circa 9 ore. Il 21enne, come già fatto nelle dichiarazioni al gip, avrebbe affermato di voler «pagare e scontare la pena per le mie responsabilità di un omicidio terribile». Turetta non si dava pace per la fine della relazione con Giulia, che l'aveva lasciato la scorsa estate, e avrebbe provato in tutti i modi a recuperare il rapporto. Anche con comportamenti, come confidava Giulia alle amiche, che erano una violenza psicologica nei confronti della 22enne. «Quella sera mi è scattato qualcosa in testa, ho perso la testa» avrebbe detto Turetta, difeso dai legali Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, al pm cercando di respingere l'ipotesi di una premeditazione e, in sostanza, descrivendolo come un delitto d'impeto. Ha detto di aver commesso un «fatto terribile» per il quale non ci sono scusanti, ribadendo di essere pentito, affranto e pronto a pagare quello che dovrà pagare in termini di giustizia.

Giulia è stata uccisa a coltellate e, stando a quanto filtrato dall'autopsia, i fendenti potrebbero essere stati sferrati col coltello con lama da 12 centimetri trovato nell'auto in Germania. Una delle ipotesi al vaglio degli inquirenti, che stanno cercando riscontri alle risposte di Turetta, è che le ultime coltellate siano state sferrate all'interno dell'auto nella zona di Fossò. E dopo che Turetta l'aveva spinta a terra, rincorrendola mentre lei fuggiva, facendola cadere con la testa sul marciapiede e poi caricandola sulla macchina.