Da uomo a donna per il benessere «psicofisico» della persona. Il dibattito, se giuridicamente ve ne fossero gli spazi, è aperto. Ma solo se ve ne fossero. Perché il professor Francesco Saverio Marini, ordinario di Diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, ha più di un dubbio sulla sentenza del tribunale di Rovereto. «Riscontro la sentenza – spiega – ad un approccio “creativo” di una parte minoritaria della giurisprudenza di merito, che, facendo uso di categorie giuridiche indefinite, come il benessere psicofisico della persona, non si limita all’applicazione della legge, ma arriva pericolosamente ad elaborarla o ad elaborarne una parte e questo approccio non lo ritengo conforme al nostro sistema giuridico».
Esclude dunque che la sentenza possa aprire nuovi scenari giuridici?Pur avvertendo che si tratta di una giurisprudenza che si autoalimenta e quindi non sottovalutando il pericolo, penso che la sentenza di Rovereto non apra alcuno scenario, perché accoglie un orientamento del tutto minoritario e che è smentito in modo deciso dalla Corte Costituzionale, quando afferma che nel transessuale «l’esigenza fondamentale da soddisfare è quella di far coincidere il soma con la psiche» ed a questo effetto è «indispensabile» il ricorso all’operazione chirurgica.
Difficilmente allora torneremo a sentir parlare di “benessere psicofisico” come motivo valido per determinare un cambio di genere?Il nostro ordinamento non sembra ammettere questa ipotesi, stando alla Consulta e alla giurisprudenza ampiamente prevalente. Va ricordato come il nome, al pari dell’identità sessuale, non rappresentano il godimento di diritti di libertà, ma sono elementi obbligatoriamente identificativi della persona. Non può sorprendere, dunque, che il legislatore, pur garantendo il benessere psicofisico del soggetto attraverso la possibilità di accedere ad interventi chirurgici, abbia collegato il cambiamento ad un fattore che ha rilevanza esterna.
Cosa potrà accadere se tra qualche anno questa persona sentirà la necessità di cambiare nuovamente genere? C’è forse la necessità di stabilire nuove regole per evitare “riattribuzioni di genere” incontrollate?La prima domanda coglie, a mio avviso, la finalità della norma, che è appunto quella di assicurare una certa stabilità e, se si vuole, irreversibilità di scelte relative all’identificazione dell’individuo. Quanto all’introduzione di nuove regole, è sempre possibile, e non vedo in ciò vincoli costituzionali, se non l’onnipresente limite della ragionevolezza. Parafrasando la celebre formula attribuita all’illuminista francese Jean Louis de Lolme, «il Parlamento può fare tutto, anche trasformare un uomo in donna e viceversa», il che non significa che questo sia auspicabile o politicamente opportuno.