Reportage. Mare Nostrum, soccorsi 5.700 migranti
UNDICI NAVI E DUE AEREI.Su un monitor è disposta la "flotta" schierata al momento nel Mediterraneo: 11 navi (fra cui la Zefiro, la Orione, la San Giorgio e la Vieste) e 2 aerei, uno della Polizia e l’altro messo a disposizione dall’Islanda, nell’ambito di Frontex. Uno schieramento imponente per una gigantesca operazione umanitaria varata dieci mesi fa dopo il naufragio che costò la vita a 366 uomini, donne e bambini davanti a Lampedusa, commuovendo il mondo intero. Un’operazione decisa dal governo Letta, proseguita dal premier Renzi e più volte definita «doverosa» dai ministri della Difesa Pinotti e dell’Interno Alfano, che hanno ripetutamente chiesto all’Unione europea di farsene carico, visti i costi enormi dell’impresa: 9 milioni di euro al mese solo per la parte di ricerca e salvataggio.Il Centro è operativo su due turni: 6-14 e 14-20. Per istituire un turno di notte occorrerebbero altre risorse, ma il personale è già pronto a restare oltre l’orario, ogni volta che serve. Il conflitto in Siria e il tracollo delle istituzioni in Libia hanno messo in movimento centinaia di migliaia di profughi. E con l’estate, il miglioramento delle condizioni meteo ha convinto le organizzazioni criminali sulla costa libica a mettere in mare qualsiasi guscio di noce, pur di incassare 1.000-1.500 euro da ciascun "passeggero". «Li stipano a centinaia su barconi di venti metri: sopra mettono quelli che pagano di più e sotto, nel carnaio della stiva, i più poveri», racconta Caselli. Mare nostrum ha reso più avidi i boss della tratta: «Prima dotavano le imbarcazioni di carburante, viveri e acqua per almeno un paio di giorni di navigazione. Da quando hanno capito che c’è la possibilità di soccorsi anche in alto mare, hanno dimezzato cibo e benzina, sapendo che i profughi, attraverso il telefono satellitare, lanceranno l’allarme dopo poche ore».
«È ARRIVATO UN THURAYA».In gergo, gli operatori del Centro chiamano quel tipo di Sos un «Thuraya», dal nome del telefono satellitare più usato in certe zone di Africa, Medio Oriente e Asia. Chi chiama è un improvvisato scafista o qualcuno dei profughi, che strilla poche parole («Salvateci, siamo alla deriva)» in uno stentato inglese, in arabo, ma anche nei dialetti etiopi o eritrei. A volte non serve neppure che dia le coordinate, perché quel telefono può essere individuato via computer con una «triangolazione». Sui monitor del Centro, nel tratto di mare fra il Nord Africa e le coste siciliane, compaiono grappoli di puntini colorati in movimento: «Quelli arancioni sono le segnalazioni sospette di potenziali barconi con migranti– spiega il sovrintendente Caselli –. Per accertarsene bisogna inviare un’unità sulle coordinate della loro rotta e intercettarle. Se c’è la conferma, il puntino diventa rosso e segnala da quel momento la rotta di un barcone che abbiamo "preso in carico" trainandolo. Oppure, se è a rischio di colare a picco, si trasbordano i migranti sulla nave soccorritrice». Se tutte le unità italiana sono impegnate, si ricorre a un’altra schermata elettronica basata sul sistema Ais (Automatic Identification System) che segnala uno per uno, col proprio identificativo, tutti i mercantili con oltre 300 tonnellate di stazza in navigazione nel Mediterraneo, per poterli allertare qualora sia necessario, in ossequio all’antica legge del mare che pone il salvataggio di una vita umana sopra ogni altra cosa. Mentre parliamo, sullo schermo un punto in movimento conferma che altri 300 migranti, tratti in salvo, stanno navigando in direzione di Pozzallo, nel Ragusano.
I "PORTI" LIBICI.Le grandi mappe computerizzate del Centro forniscono informazioni in tempo reale, ma raggruppano anche dati "storici", offrendo la possibilità di analizzare i flussi migratori. «Se ad esempio osserviamo i percorsi delle ultime decine di barconi intercettati – fa notare il capo turno Caselli, indicando due grandi raggruppamenti di pallini verdi – vedremo come le ultimissime rotte degli scafisti dalla Libia hanno soprattutto due aree di partenza, nella zona di Al Khums e di Al Zouarah, cioè sulla costa a destra e a sinistra di Tripoli». L’informazione è lì, cristallizzata sul monitor. E potrebbe essere utilizzata, in un’ottica di cooperazione internazionale, per fermare i barconi prima che partano, evitando a masse di profughi la rischiosa roulette della traversata. Ma la Libia, com’è noto, attraversa un periodo politico travagliato e la cooperazione con le nostre autorità e con quelle europee ne risente. Qui nella sala del Centro, comunque, non c’è tempo per occuparsi di questioni politiche come la cooperazione fra Stati. Mentre si fa sera, le segnalazioni da approfondire si moltiplicano. «È arrivato un altro Thuraya – avverte un agente –. Ora lo verifichiamo...».