Covid. Vaccini, Marcucci: ecco perché non avere paura delle trombosi
Rossella Marcucci nel suo studio
La mail dagli uffici dell’Ema è arrivata ai primi di marzo, quando si è cominciato a sospettare in tutta Europa che i – pur rarissimi – casi di trombosi registrati qualche giorno dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca, col vaccino qualcosa dovevano centrare. Servivano dati e analisi, per una revisione in tempi rapidi. Sono stati chiesti ai luminari nel campo delle malattie aterotrombotiche e vascolari di tutto il continente e tra loro c’è la nostra Rossella Marcucci, direttore del Centro di riferimento per la trombosi dell’Ospedale Careggi di Firenze, professore associato di Medicina interna all’Università di Firenze e membro del gruppo Scienziate per la società. Un curriculum sconfinato di incarichi e pubblicazioni su questi temi, finora piuttosto sconosciuti all’opinione pubblica (anche se le trombosi sono tra le patologie più frequenti nel mondo occidentale).
Professoressa, che idea si è fatta studiando i fascicoli che l’Ema vi ha trasmesso?
Ci siamo resi subito conto di essere innanzi a delle trombosi anomale, diverse da quelle che fino a quel momento avevamo incontrato. Il binomio caratteristico di questi eventi era infatti l’associazione dell’evento trombotico al basso livello di piastrine. E poi c’era la stessa tipologia di trombosi (cerebrale o addominale), la concentrazione in una fascia d’età del tutto inattesa (persone giovani, in prevalenza donne) e il timing preciso (dai 5 ai 15 giorni dopo la prima iniezione).
Insomma, non ha avuto dubbi che il nesso tra vaccino e trombosi esistesse?
Con evidenza quel nesso esisteva ed esiste. E questa però è anche l’unica certezza che per ora abbiamo: servirà moltissimo tempo per comprendere il meccanismo di queste reazioni, che chiaramente – data l’estrema rarità dei casi – nasce nella correlazione con la storia dei pazienti e coi fattori specifici che li contraddistinguono. Una conferma ulteriore di questa correlazione ci è arrivata però dagli Usa con il caso di Johnson&Johnson: lo stesso tipo di vaccino, a vettore virale, è legato allo stesso tipo di trombosi nella stessa fascia di popolazione.
I vaccini a vettore virale, dunque, non sono sicuri?
Tutt’altro, lo sono ancora di più proprio perché grazie a una risposta immediata sul fronte della ricerca e dell’analisi scientifica abbiamo individuato – almeno nel caso di AstraZeneca – come usarli in sicurezza. Cioè, somministrandoli in quelle fasce di popolazione e di età in cui queste eventi non si sono presentati e non si presentano. Ricordiamo sempre che proprio AstraZeneca fornisce una protezione del 100% rispetto alle forme gravi della malattia.
Nessuna trombosi anomala negli over 60?
In base ai dati che possiedo, no. In ogni caso credo che al primo caso sospetto ci sarebbe stata la stessa immediata reazione che abbiamo visto scattare a marzo: la sorveglianza clinica è stata altissima. Invece non ne abbiamo avuto notizia, nonostante ormai da settimane AstraZeneca sia somministrato agli anziani in tutta Europa.
Quali sintomi, in ogni caso, dovrebbero indurre una persona a recarsi immediatamente all’ospedale dopo la vaccinazione?
Sintomi gravi, impossibili da sottovalutare: un’emicrania persistente, farmacoresistente e invalidante, associata a disturbi neurologici importanti. O crampi addominali insopportabili, per cui non esista alternativa al Pronto soccorso. Qualche linea di febbre, o una leggera cefalea, sono reazioni assolutamente normali al vaccino che non devono spaventare nessuno.
Le trombosi legate al vaccino possono essere curate?
Certamente. Come Società italiana di emostasi e trombosi abbiamo già trasmesso tutti i dati disponibili e i protocolli di intervento a tutti gli ospedali italiani: i medici sanno come affrontare i casi sospetti e il tipo di terapia anticoagulante da somministrare.
Chi ha avuto trombosi in passato è più a rischio? Questa, per esempio, è una delle preoccupazioni maggiori tra gli anziani...
Assolutamente no: non esiste alcuna associazione tra queste trombosi rare legate al vaccino e storie personali o familiari di trombosi. Invece attenzione, mi permetta di sottolinearlo con forza, questa associazione esiste, eccome, col Covid: chi cioè ha sofferto di trombosi in passato rischia moltissimo nel caso di contagio. Soprattutto se ha più di 60 anni. Ecco perché non dovrebbe aver alcun dubbio nel vaccinarsi.
E chi invece assume anticoagulanti, è meno a rischio?
Non ci sono prove di questo. Mi sentirei, in ogni caso, di parlare di un motivo aggiunto di tranquillità.
Prendiamo invece il caso di un’insegnante di 45 anni che abbia ricevuto la prima dose di AstraZeneca. Può ricevere la seconda a cuor leggero?
È un punto dolente, perché non abbiamo dati al momento: i nostri studi si sono basati solo su casi legati alle prime somministrazioni. Mi aspetto una decisione chiara e ben soppesata in tempi rapidi da parte delle agenzie regolatorie: i richiami, in Italia, scatteranno a maggio. Teniamo comunque presente che non siamo in possesso di dati nemmeno rispetto all’eventualità di una seconda somministrazione con un vaccino diverso. Tutte le scelte comportano un rischio, da calcolare di volta in volta. Del rischio del Covid, invece, abbiamo già contezza piena: il beneficio dei vaccini resta in ogni caso di gran lunga superiore.
Cosa pensa della possibilità, ventilata da molti in questi giorni, che i vaccini a vettore virale possano essere presto abbandonati a favore di quelli a mRna, che non hanno presentato eventi avversi così seri?
I vaccini a vettore virale sono, per loro stessa natura, destinati ad avere vita breve: il sistema immunitario impara col tempo a riconoscerli e si abitua, per così dire, all'adenovirus che viene utilizzato al loro interno. Non sarebbero comunque utili per eventuali richiami, in futuro (anche se tutti speriamo che non ci debbano servire). I vaccini ad mRna e a proteine ricombinanti invece, come il NovaVax che presto sarà approvato, non presentano questo limite: la tecnologia con cui sono stati costruiti è straordinaria ed è facile pensare che potranno essere utilizzati con successo in futuro, anche dopo il Covid, per altre malattie. D'altronde non vedo nulla di male nel fatto che nel tempo, accorgendoci di avere dei vaccini più efficaci, scegliamo di utilizzare questi ultimi. La scienza fa questo: agisce modificando subito il suo percorso in base ai fatti, si adatta strada facendo. Non ci dovrebbe essere nessuno sgomento.