Marcia nonviolenta. Dall'Italia a Kiev «una tenace speranza di pace»
Dall’Italia sono partiti in 150 di trentacinque associazioni, con i movimenti cattolici in prima linea: «Una resistenza civile, condivisa, disarmata, che chiede la fine delle ostilità»
L’appuntamento è a poche centinaia di metri dal Santuario di San Giovanni Paolo II a Cracovia. E anche questo è un segno, quasi a voler puntare lo sguardo sul Papa che aveva gridato: «Mai più la guerra». In un albergo della città polacca sono arrivati sabato i “sognatori della pace” in Ucraina. Tutti italiani. Sognatori, sì, «perché ogni giorno che passa il fronte sembra allargarsi e i negoziati sono in stallo», racconta Angelo Moretti. Ma non utopisti. Anzi, ben ancorati alla realtà.
«La solidarietà dell’Europa a un popolo brutalmente aggredito non si esprime soltanto con l’invio di armi o con la raccolta di aiuti umanitari. C’è bisogno di altro. Occorre dire che come cittadini siamo a fianco degli ucraini, che non sono soli. Ci siamo come società civile, con i nostri corpi fisici che vanno nei luoghi del conflitto», aggiunge Moretti. Lui è il portavoce del movimento “popolare” che in Italia è nato («Il Paese che vanta una Costituzione in cui è scritto che ripudiamo la guerra», chiarisce) e che intende coinvolgere l’intero continente. “Movimento europeo di azione nonviolenta” è il nome; Mean la sigla.
E lunedì sarà protagonista nella prima, grande azione in Ucraina: una manifestazione “fraterna” a Kiev. Insieme italiani e ucraini per invocare l’immediato cessate il fuoco. Attivisti di trentacinque associazioni della Penisola che da Cracovia partono domenica alla volta della nazione attaccata. E attivisti del partner locale “Act for Ukraine”. Centocinquanta in tutto: il numero massimo consentito dalla legge marziale. Domenica il primo abbraccio a Medyka, al confine fra Polonia e Ucraina, dove le due delegazioni si incontreranno.
In prima linea l’universo cattolico: lo dice – per citare qualche esempio – la presenza dell’Azione cattolica o del Movimento dei focolari, l’impegno della Casa della carità di Milano o di preti e religiosi che a Kiev hanno scelto di esserci. «Ma la città non sarà il palcoscenico dei nostri ragionamenti o sentimenti, bensì il luogo dove abbracciare le genti che vedono i razzi piombare sulle loro teste».
Segreto il luogo dell’evento. «Non per paura», sostiene Moretti. Ma per ragioni di sicurezza, chieste dall’amministrazione comunale di Kiev. «E il fatto che abbia autorizzato l’iniziativa rivela come una nuova sensibilità si stia imponendo mentre continuano a cadere le bombe – osserva il portavoce –. Perché, fino a poco tempo fa, dire “pace” in Ucraina equivaleva a lasciare intendere che si voleva una resa di fronte all’esercito russo. E, quando per la prima volta abbiamo chiesto di parlare a Kiev di che cosa fare per far avanzare la pace, pensavamo di aver lanciato una proposta folle. Invece, sta emergendo un’altra forma di resistenza che si affianca a quella lungo le linee di combattimento: è una resistenza civile, condivisa, disarmata, che chiede la fine delle ostilità e il ritiro dell’aggressore».
Due gli slogan che scandiscono la marcia pacifista. Il primo è “We are all Ukrainians. We are all Europeans”: siamo tutti ucraini, siamo tutti europei. «Vogliamo affermare che l’intero continente fa proprie le ferite di una nazione, ma anche che c’è una sola Europa, dall’Atlantico agli Urali, come ripeteva Giorgio La Pira, che comprende sia l’Ucraina, sia la Russia», riflette il portavoce del Mean. E il secondo, “More arms for hugs” (Più braccia per gli abbracci), gioca sul doppio significato del vocabolo “arm”: braccia e arma. «Il dialogo ha bisogno di fisicità e di scambio», insiste Moretti. Come accadrà stasera quando, a partire alle 19, diciotto piazze d’Italia e una a Londra si animeranno di proposte nel segno della nonviolenza e saranno in collegamento con gli attivisti a Kiev.
La data della mobilitazione – l’11 luglio – ha un doppio significato. È il giorno di san Benedetto, patrono d’Europa, «grazie a cui, come aveva evidenziato Paolo VI, popoli diversi sul piano linguistico, etnico e culturale hanno avvertito di costituire un unico popolo», sottolinea Moretti. Ed è l’anniversario del massacro di Srebrenica, una delle pagine più nere in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale scritta nel 1995 quando le forze serbe di Bosnia uccisero 8mila musulmani. Ecco, nota il portavoce, «l’11 luglio è l’emblema di un fallimento storico ma anche il richiamo a una tenace speranza».
Fra le speranze di chi si è messo in viaggio dall’Italia c’è anche quella che di salvare l’Arco dell’amicizia dei popoli di Ucraina e Russia, voluto a Kiev dall’Urss, che potrebbe essere abbattuto. «Il dialogo passa persino da un futuro riavvicinamento alla cultura russa che non può essere demonizzata», dichiara Moretti. E annuncia: «A Kiev saranno esposte anche le bandiere dei dissidenti di Mosca: un gesto straordinario». Concretezza è la parola d’ordine. L’impegno per una pace “dal basso” si gioca su più ambiti cari al Mean: la protezione dei bambini, l’evacuazione dei civili dalle zone a rischio, il sostegno ai giovani, la tutela dei beni culturali che «la Russia ha minacciato di saccheggiare o distruggere», assicurano i referenti di “Act for Ukraine”.
«Se pensare la pace – conclude Moretti – significa preparare un’Europa dei cittadini, come ammoniva Altiero Spinelli, è altrettanto necessario che sul piano internazionale l’Europa si ponga come attore più autonomo e deciso. Però non possiamo delegare solo ai governi i negoziati». E all’Europa guarda il Movimento per portare in Ucraina 5mila “corpi civili di pace”. «Tanti quanti sono i soldati che formeranno l’iniziale contingente di difesa europea deliberato lo scorso marzo dalla Ue. I primi 150 sono quelli di lunedì. La mobilitazione nonviolenta è solo all’inizio».