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Politica. Manovra, l’incognita che condiziona. Alla ricerca di 23 miliardi di coperture

Nicola Pini giovedì 17 agosto 2023

La premier Giorgia Meloni ha chiesto ai ministri di preparare dei dossier su tutti i provvedimenti fatti dal governo per poterli presentare a ottobre in un evento, a un anno dalla vittoria del centrodestra. Ma proprio tra settembre e ottobre, con la Nadef e la legge di Bilancio, l’esecutivo dovrà affrontare il più importante banco di prova da quando è in carica. La manovra 2023 con il governo appena insediato è stata per forza di cose ridotta all'essenziale. Stavolta il centrodestra non potrà farsi scudo del calendario.

Tra i dossier d'autunno figura il confronto sul salario minimo e il lavoro povero, dopo l'incontro con le opposizioni e il rinvio a ottobre dell'esame parlamentare della pdl per la soglia minima legale a 9 euro lordi presentata da tutte le minoranza, dal Pd al M5s, da Avs a Calenda. Ieri i promotori hanno annunciato che la raccolta di firme sulla petizione on-line che appoggia la proposta è arrivata alle 200mila firme. E c'è la gestione del Pnrr, cruciale anche per i suoi effetti sull'economia reale.

Ma è soprattutto con la manovra che il governo dovrà cercare di dare risposte a un Paese che sta facendo i conti con la più forte ondata d'inflazione degli ultimi decenni e tener fede almeno in parte alle sue promesse elettorali. Una partita che stavolta dovrà essere giocata nel quadro delle regole fiscali europee ordinarie che impongono, dopo il Covid, un miglioramento dei saldi della finanza pubblica.

Allo stato la manovra parte da circa 30 miliardi di euro di spese obbligate o quasi e da solo 7 miliardi di coperture disponibili. Con la tassa sugli extraprofitti delle banche il governo ha aggiunto non a caso un altro tassello alle coperture, ma la nuova dote non allarga poi di molto le disponibilità finanziarie: in attesa dell'esame parlamentare, dopo le precisazioni del Mef ci si aspetta che possa portare non più di due miliardi nelle casse statali. Sempre che non vada a finire come la tassa sugli extraprofitti energetici varata da Draghi e poi aggiustata da Meloni che ha fruttato finora solo 2,8 miliardi sugli 11 attesi, circa il 25%. In ogni caso l’imposta sulle banche, essendo straordinaria, non dovrebbe andare a finanziare misure strutturali.

È chiaro fin da subito che la coperta è corta e ci si dovrà accontentare. Mentre è già fin troppo ricco l'elenco delle spese. La sanità allo stremo chiede risorse, almeno 4 miliardi, per rimpinguare il Fondo nazionale falcidiato dall'inflazione. La P.a. deve rinnovare i contratti pubblici, con una spesa teorica di 30 miliardi in un triennio. Anche la scuola batte cassa. Le spese obbligatorie a legislazione vigente, tra cui quelle militari, valgono 6 miliardi.

C'è poi il grande tema del taglio da 6-7 punti del cuneo fiscale, in scadenza a fine anno. Non rinnovarlo sarebbe politicamente suicida. Ma rinnovarlo costa circa 9-10 miliardi l'anno. C’è poi l'annunciata riduzione dell'Irpef da 4 a 3 aliquote: varie le ipotesi sul tavolo, con una spesa che parte da almeno 4 miliardi, altrimenti l'effetto sui contribuenti sarebbe inconsistente. E il capitolo pensioni, con le sue costose promesse di riforma: ma solo per rinnovare la Quota 103 che scade e le altre misure in essere servono 1-2 miliardi. E altrettanti per replicare la tassazione agevolata sui premi di produttività e i fringe benefit. Qualche centinaio di milioni poi andrà via per riproporre le agevolazioni sui mutui prima casa per i giovani e forse estenderli, una delle motivazioni della tassa sulle banche. Infine se davvero si farà partire l'operazione Ponte sullo Stretto di Messina, bisognerà tirar fuori almeno 1-2 miliardi sui 13,5 miliardi di costo globale.

Sul piano delle coperture un quadro più preciso si avrà a settembre con la Nota di aggiornamento. Al momento si conta sui 4,5 miliardi ricavati in deficit dall'ultimo Def e i 300 milioni previsti dalla spending review dei ministeri. Con il gettito atteso dalla nuova tassa sugli extraprofitti delle banche, si arriva appunto a 7 miliardi.

Finora il governo ha sperato di poter aumentare il piatto con i dividendi di una crescita dell'economia superiore alle previsioni, come era accaduto lo scorso anno a Draghi. L'ultimo verdetto dell'Istat relativo al secondo trimestre 2023 ha però gelato le attese: il Pil è calato dello 0,3%, uno dei dati più deludenti nell'eurozona. Mentre anche il terzo trimestre potrebbe dover scontare un'inattesa battuta d'arresto.

Una frenata dell'economia che, se confermata, impatterebbe ovviamente anche sui tendenziali della finanza pubblica, con il governo comunque obbligato a mantenere in discesa deficit (previsto, secondo prime stime, al 3,7% a fine anno) e debito pubblico (che ha toccato ieri un nuovo primato), a discapito delle voci di spesa. Non solo per compiacere Bruxelles, ma anche e soprattutto per non dare ai mercati segnali che potrebbero far salire lo spread. Con i tassi di interesse al top da molti anni non potremmo proprio permettercelo.