Oggi il voto al Parlamento. Mamme no Pfas a Strasburgo per chiedere "concentrazione 0"
Le gocce disegnate dai bimbi
Alle 17 di ieri hanno fatto il loro ingresso nella sede del Parlamento europeo di Strasburgo. Da quel momento sono scattati gli incontri con gli eurodeputati riuniti in plenaria per esprimersi (anche) sulla direttiva sull’acqua destinata al consumo umano. Unico l’obiettivo: che dal voto di oggi esca un documento che ammetta una concentrazione di Pfas nell’acqua potabile pari a zero. Non un nanogrammo in più. È dunque sbarcata in Alsazia la battaglia delle 'mamme no Pfas', il gruppo di genitori sta conducendo una campagna serrata perché le autorità competenti mettano la parola fine al più grande caso di inquinamento della storia del Veneto. Sono almeno 400mila i cittadini i cui acquedotti pescano dalla seconda falda più grande d’Europa, quella di Almisano, e proprio qui, nel 2013 il Cnr ha certificato una contaminazione da acidi perfluoroalchilici senza precedenti. Nel fazzoletto di terra tra le province di Vicenza, Verona e Padova, all’origine del tutto c’è un’azienda chimica: la Miteni di Trissino, nella valle del Chiampo.
L’iter della direttiva europea sull’acqua è ancora lungo. Dopo Strasburgo tornerà a Bruxelles, al Consiglio europeo e l’ultima parola, come sempre, sarà quella degli stati membri. Ma queste nuove mamme (e papà)-coraggio vanno avanti: «Non c’è più tempo – è il messaggio di questi rappresentanti della popolazione contaminata, costretta a vivere una condizione sospesa, minacciata dagli interferenti endocrini – Non possiamo permettere che situazioni come quella che stiamo vivendo in Veneto possano ripetersi. Per questo chiediamo che i limiti previsti nel testo, superiori a quelli in vigore in Veneto, siano azzerati, come previsto da una mozione del Consiglio regionale. Inoltre chiediamo che il principio di precauzione non rimanga un tratto di penna all’interno del trattato di funzionamento dell’Unione, ma venga applicato. Sui Pfas e su tutti gli interferenti endocrini occorrono sperimentazioni previe alla loro messa in commercio».
Richieste che le mamme hanno accompagnato con disegni dei loro bimbi: gocce d’acqua pulita, come quella che meriterebbero d’avere. Dietro a queste convinzioni ci sono i volti di un movimento divenuto punto di riferimento, riconosciuto dalle autorità: il 12 settembre il colloquio a Roma con il ministro dell’ambiente Costa; il 26 agosto quello con la procura di Vicenza, dopo un sit-in di una settimana, per chiedere il sequestro preventivo e la bonifica del sito Miteni. Convinto anche il sostegno dei vescovi delle tre diocesi coinvolte, con monsignor Beniamino Pizziol presente un anno fa alla grande manifestazione di Lonigo dove sono stati in 10 mila a sfilare per chiedere lo stop immediato della contaminazione. «Tutto è iniziato appena un anno e mezzo fa – racconta Michela Piccoli, una delle portavoce, con l’inseparabile maglietta in cui ricorda che la figlia Maria, adolescente vive con 60 nanogrammi di Pfas per millilitro di sangue – A scuoterci sono state proprio le analisi del biomonitoraggio regionale iniziato nel 2017. La certezza che questi veleni avevano raggiunto l’organismo dei nostri figli ci ha lasciati senza fiato». In pochi mesi, gruppi spontanei sono sorti in tutti i comuni dell’area rossa della contaminazione. Si intrecciano così la storia di un papà, che chiede l’anonimato, nel sangue del cui figlio sono stati trovati 260 nanogrammi di Pfoa nonostante l’utilizzo dell’acqua di rubinetto. Analisi successive hanno dimostrato che il pozzo privato con cui annaffiava l’orto era fortemente inquinato.
E la storia di Giovanna Dal Lago, quattro figli sottoposti a plasmaferesi prima che la ministra Lorenzin bloccasse la pratica. Oggi tutto è sospeso. O ancora Laura Facciolo, chimica farmaceutica, tre figli, da tempo in contatto con l’Australia, dove un caso analogo è scoppiato per l’utilizzo indiscriminato di schiume antincendio in alcune basi militari: «La doppia filtrazione a cui oggi Arpav sottopone la nostra acqua e la dichiarazione dello stato di emergenza erano sogni quando siamo partiti – spiega – Ma la partita è tutt’altro che finita. Le nostre analisi non scendono sotto i 5 nanogrammi, ma l’agenzia Usa per l’ambiente ha dichiarato che i bambini di dieci chili non possono assumere più di 2 nanogrammi di Pfas al giorno. Occorre fare di più. Questa è una storia di inquinatori, ma anche di controllori che non hanno controllato. E della loro responsabilità ancora nessuno parla».