Un bambino non dovrebbe mai stare dietro le sbarre di un carcere. Senza vedere il cielo, senza sapere cos’è un orizzonte. E, possibilmente, non dovrebbe mai vedere detenuta la propria mamma. Partendo da questi due semplici assunti è nato da un anno un progetto di accoglienza per le mamme carcerate con prole e senza dimora, pensato e realizzato dall’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri, dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Migrantes.I dati del Ministero sulla popolazione carceraria, al 31 dicembre 2013, registrano 43 madri detenute, 45 bambini con meno di tre anni e 22 detenute in gravidanza. «Va precisato – spiega il responsabile nazionale dei cappellani, don Virgilio Balducchi – che la legge prevede gli arresti domiciliari, meno che in caso di reati molto gravi, per la madre con un bimbo di età inferiore ai sei anni». Tuttavia restano penalizzate le donne che non hanno una residenza, in genere le rom, le immigrate e alcune italiane senza dimora. Il servizio si propone di accogliere ed ospitare, per periodi medio-lunghi, donne che hanno i requisiti per usufruire di misure alternative alla detenzione, ma che non possono accedere ai benefici previsti dalla legge perché prive di adeguato domicilio legale.«La situazione carceraria nel nostro Paese – prosegue don Balducchi – conosce una crisi ormai di dimensioni strutturali. A fronte di una legislazione tra le più avanzate in ambito europeo, permangono criticità di ordine organizzativo e gestionale, nonostante l’impegno dei vari soggetti istituzionali, delle associazioni e di quanti lavorano all’interno delle carceri». Per rispondere al dettato evangelico che richiama al rispetto della persona umana in qualsiasi condizione di vita si trovi e per tentare di dare applicazione all’articolo 27 della Costituzione è nato nel settembre 2012, dopo un previo accordo con il capo del Dap, Giovanni Tamburino, il progetto "mamme con prole".«Abbiamo avviato – puntualizza il responsabile dei cappellani carcerari italiani – un’indagine conoscitiva, attraverso i cappellani che ha rilevato diversi casi sul territorio. Nel contempo sono state individuate 32 strutture sul territorio disponibili all’accoglienza»Ma non basta, occorre la volontà delle interessate.«C’è chi ha magari altri figli e può avere interesse a rimanere in carcere per non perdere i contatti. Comunque, dopo aver incrociato i dati in nostro possesso con i dati inviatici dal Dap, sempre attraverso i Cappellani si è provveduto ad un primo intervento conoscitivo della volontà da parte delle donne con prole ad essere accolte in una struttura di accoglienza». Rilevato l’interesse di 20 donne, il Progetto è stato proposto alla Cei per finanziarlo.«Superata la difficoltà di individuare le donne – spiega don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana – abbiamo presentato il progetto alla presidenza della Cei. Non mi è stata fatta nessuna domanda e nessuna obiezione. Hanno colto subito la ricchezza del progetto, la prospettiva e il lavoro d’insieme». Ogni donna con bambino costa per questo progetto 30 euro circa al giorno contro i quasi 115 del carcere stimati da uno studio della scorsa estate della polizia penitenziaria. «Nel febbraio 2013 – prosegue Soddu – la Cei ha disposto di stanziare un fondo di 200mila euro annui, per due annualità, per un totale di 400mila euro, da destinarsi come contributo per l’accoglienza delle ospiti presso le strutture disponibili. Il contributo prevede un rimborso giornaliero di 30 euro anticipato, di tre mesi in tre mesi per un anno, nell’ipotesi di permanenza dell’ospite presso la struttura allo scadere di ogni trimestre. Il Progetto vuole porre un segno tangibile di vicinanza della Chiesa italiana alle madri che vivono in carcere per offrire, a chi non ha possibilità proprie, un luogo di accoglienza per il loro vissuto materno». All’iniziativa collaborano in modo continuativo, anche la Comunità Sant’Egidio e la Comunità Papa Giovanni XXIII. L’intervento è divenuto operativo a partire dal 1 marzo 2013. Dopo un anno sono state accolte 12 donne con bambini su 50 posti e due donne hanno partorito, allattato e svezzato i loro neonati in queste comunità e non dietro le sbarre.Che futuro ha questo progetto?«Siamo a metà – spiega ancora don Soddu – ma c’è ancora da lavorare. Il bilancio è buono, abbiamo ospitato una dozzina di donne e l’aver lavorato insieme è stata una grande cosa. Vogliamo comunque ripresentarlo nel 2015 se ce ne sarà le necessità». Finora due bambini sono nati liberi e 12 mamme stanno ritrovando se stesse. E, soprattutto, i piccoli stanno imparando ad apprezzare il cielo che scende fino all’orizzonte.