Voghera. Luca, ucciso a un anno dalla sua mamma. Chi cura la depressione post partum?
In un'immagine di repertorio, fiori e peluche lasciati per una bimbo ucciso
Pare che fosse cominciata una specie di “staffetta”, a casa di Elisa, da un paio di mesi. Il marito, Maurizio, i nonni e persino una zia si davano il cambio per aiutarla col piccolo Luca. Che era un bimbo dolcissimo e tanto era stato desiderato, prima di arrivare a riempire di vagiti e poi di strilli l’appartamento di via Mezzana, a Voghera. Elisa, 44 anni, però faceva fatica: da qualche tempo aveva paura di guidare, e di restare da sola in casa, aveva chiesto una pausa dal lavoro di impiegata. I dottori la chiamano “depressione post partum”, ha sintomi chiari sui libri, colpisce fino al 15% delle donne nel primo anno di vita dei figli (ciò che si traduce in un numero variabile tra le 50mila e le 100mila donne ogni anno), ma in una famiglia alle prese con la vita di tutti i giorni possono assomigliare a un momento di fragilità, a un po’ di stanchezza. E così Elisa ai suoi sembrava: gentile e riservata come sempre, come tutti la conoscevano nel quartiere, ma un po’ stanca. «Solo nelle ultime settimane le cose erano peggiorate, aveva dei vuoti di testa – ha raccontato suo padre, sconvolto –. Era stata da un paio di dottori, le avevano dato delle medicine».
Questa mattina Maurizio è uscito da casa presto per andare al lavoro, sarebbe arrivata la nonna poco dopo. Ed Elisa, nel suo abisso di solitudine e di sofferenza invisibile a tutti gli altri, deve aver incontrato i suoi fantasmi. La madre quand’è arrivata l’ha trovata in stato confusionale, distesa sul lettone, col bambino accanto incosciente. Forse ancora vivo. La nonna ha chiesto subito aiuto, ha chiamato il 118 e i carabinieri. Quando i soccorsi sono arrivati però per il piccolo Luca – che avrebbe compiuto un anno tra un paio di settimane – non c’era già più nulla da fare: il suo corpicino giaceva sul letto, esanime, i segni viola al collo. Elisa l’ha strangolato, probabilmente senza sapere il perché. O forse per quelle ombre, quel peso che preme sul petto e che non fa respirare quando la depressione diventa crisi d’ansia e di panico: la vista s’annebbia, la realtà si confonde e una mamma può finire per perdere la ragione.
È successo tante volte, in questi anni, nel nostro Paese: 116 negli ultimi sei, secondo i dati di Eures, 535 dal 2003. In sette casi su dieci, a uccidere i figli è stato il padre: per vendetta nei confronti della madre che lo aveva lasciato o che sospettava di tradimento, soprattutto. In tre casi su dieci, invece, il killer spietato era una madre: quasi sempre vittima di problemi psichici o di depressione. Troppi, per non accorgersi che il tema del sostegno anche dopo la gravidanza andrebbe affrontato con più attenzione da parte delle istituzioni. I consultori esistono, i gruppi di aiuto e le associazioni specializzate si moltiplicano, ma la sensibilizzazione scarseggia (fatto salvo l’appello di qualche personaggio noto, come quello recente della cantante Levante), i percorsi vanno cercati. E il Covid ha avuto la sua parte: isolamento e interruzione della socialità hanno pesato nel modo drammatico che conosciamo sulla salute mentale della popolazione, specie dei più giovani e dei più fragili. Tra cui rientrano a tutti gli effetti anche le donne in gravidanza e le neomamme.
Elisa ora si trova al Policlinico San Matteo di Pavia, nel reparto di Psichiatria, in stato di fermo. È sotto choc e piantonata: non appena si sarà ripresa, verrà interrogata. La Procura di Pavia è intervenuta ieri pomeriggio con una nota stringata per spiegare i fatti e smentire quanto trapelato in un primo momento, e cioè che fosse stata Elisa stessa a chiamare il 118 dicendo di aver ucciso il suo bambino. Il corpo di Luca è stato portato sempre al San Matteo, all’Istituto di medicina legale, per l’autopsia che sarà necessaria a ricostruire cosa sia avvenuto davvero ieri mattina. Voghera intanto è una città sotto choc: la sindaca, Paola Garlaschelli, è intervenuta esprimendo il suo cordoglio alla famiglia e spiegando che «rimaniamo attoniti di fronte a un bimbo strappato alla vita da un gesto terribile». I vicini raccontano di una famiglia bellissima, «il ritratto della felicità», anche se qualcuno si era accorto del malessere di Elisa: «Era cambiata, soffriva di una forma di depressione. Ma col bambino – ha spiegato una conoscente della famiglia – era amorevole, lo avevano cercato per 5 anni». La mente torna ai casi simili finiti alla ribalta delle cronache negli ultimi anni, dall’omicidio di Samuele a Cogne fino a quello di Loris a Santa Croce Camerina (Ragusa) nel 2014 , quando Veronica Panarello strangolò il suo bambino per poi occultarne il cadavere in un canalone e fingere per alcuni giorni che fosse scomparso. Ma in Lombardia in particolare resta una ferita aperta quello della piccola Diana, lasciata morire di stenti a 18 mesi nel lettino di casa dalla madre, Alessia Pifferi. Era rimasta da sola a casa, mentre la donna aveva trascorso quasi una settimana col suo amante. Per lei, quella figlia, era «un peso».