Turismo. Maleducazione, incidenti. E se la montagna chiude?
Il massiccio del Monte Bianco visto da Saint-Gervais-les-Bains
«La montagna è fatta per tutti, non solo per gli alpinisti: per coloro che desiderano riposo nella quiete come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte». Quando, nel 1914, ha scritto “Alpinismo acrobatico”, Guido Rey, alpinista e tra i massimi scrittori di montagna, certo non pensava che un secolo dopo ci sarebbe stato bisogno di mettere il “numero chiuso” al Monte Bianco, per contenere l’assalto di alpinisti-turisti, spesso impreparati, che si avventurano verso i 4.810 metri della vetta d’Europa, magari in pantaloncini e scarpette da passeggio. Una massa di gente che, con impressionante frequenza, si caccia nei guai. Soltanto quest’estate si sono contati circa settanta morti sull’intero arco alpino, mentre da maggio a settembre, il Soccorso alpino ha recuperato 125 vittime.
Una vera e propria strage che in Francia cercano di prevenire contingentando gli accessi a sentieri e ghiacciai. Ma è davvero possibile e, soprattutto, è giusto chiudere le montagne, anche per una ragione di sicurezza? Montagna e libertà salgono ancora in cordata, oppure il binomio è messo in crisi dall’aumento imponente dei fruitori delle Terre alte? «La montagna è libertà, ma l’altra faccia della libertà è la responsabilità», ricorda Vincenzo Torti, presidente generale del Club alpino italiano, che ha recentemente attivato un Osservatorio sulla libertà in montagna.
«Anche la montagna – ricorda Torti – è attraversata dalle mode e questo fa sì, per esempio, che tutti si concentrino su poche mete. Come Cai, invece, cerchiamo di educare a una fruizione consapevole della montagna, anche attraverso la promozione di cime alternative, magari meno conosciute ma non per questo meno affascinanti, con l’intento di distribuire gli appassionati sul territorio. Ed evitare ingorghi pericolosi. Per chi si caccia nei pasticci ma anche, è bene ricordarlo, per chi è poi chiamato a recuperare questi sprovveduti, come i nostri tecnici del Soccorso alpino».
Contrario a qualsiasi ipotesi di chiusura è la guida alpina e scrittore Alessandro Gogna, che sul suo gognablog. com, ha spesso affrontato il tema della libertà in montagna ed è stato tra gli ideatori dell’Osservatorio del Cai. «Mettere dei divieti, delle limitazioni alla frequentazione cambia i connotati stessi della montagna – osserva Gogna –. Da luogo selvaggio, contrapposto e alternativo alla vita cittadina, si trasforma in qualcosa d’altro, perdendo, appunto, la sua caratteristica principale che è la libera espressione di chi la vive. Per questo rifiuto e respingo qualsiasi limitazione della libertà in montagna.
Piuttosto, sono per una forte azione culturale che faccia capire che il Monte Bianco non è alla portata di click. Anziché reprimere, serve educare». Nel frattempo, però, qualche contromisura bisogna pur prenderla, almeno per «organizzare» un alpinismo che, secondo Reinhold Messner, è definitivamente cambiato, diventando a tutti gli effetti turismo di massa. «Sul Monte Bianco – spiega il Re degli Ottomila – ogni giorno centinaia di persone salgono, in fila, sulla pista che porta alla cima. Questo non è più alpinismo, in senso classico, ma diventa, appunto, “alpinismo da pista”. Che, come avviene, per esempio, nello sci, deve essere organizzato e regolamentato.
Altro è, invece, l’alpinismo tradizionale, di avventura e scoperta nella natura, dove ci deve essere posto per tutti e che deve essere liberamente fruibile da tutti. Sono contrario alla chiusura delle montagne, ma dico anche la montagna non regge più la massa enorme di gente, spesso impreparata, che la vuole salire. Per questo condivido la decisione della Francia, che ha scelto di limitare l’accesso per aumentare la sicurezza».