Coronavirus. Ecco le prime quattro paritarie costrette a chiudere
Zaino e mascherina: sarà così la ripresa della scuola a settembre
«Le scuole paritarie non sono un accessorio ». L’importanza degli istituti non statali «in un sistema educativo integrato », è stata sottolineata anche ieri alla Camera da Patrizio Bianchi, coordinatore del Comitato di esperti voluto dalla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, per preparare la ripresa di settembre. Che, però, potrebbe non vedere ai blocchi di partenza tante scuole paritarie, tra le principali vittime del lockdown imposto dall’emergenza coronavirus. Dai nidi alle materne, dalla primaria ai licei, sono molti gli istituti che hanno già annunciato alle famiglie l’intenzione di non riaprire dopo l’estate. Scuole che per anni si sono sostenute su un fragile equilibrio finanziario - composto dalle rette delle famiglie, ma anche da tanti sacrifici di ordini religiosi e cooperative di genitori, donazioni di privati e residuali finanziamenti statali - che il Covid ha definitivamente spezzato. Stime attendibili indicano nel 30% le paritarie che potrebbero chiudere causa-Covid, con 300mila alunni che traslocherebbero nelle scuole dello Stato.
A fine aprile, quando iniziano a circolare le prime bozze del decreto Rilancio, le associazioni che rappresentano le scuole paritarie lanciano immediatamente l’allarme: senza interventi chiari a sostegno degli istituti non statali, il 30% delle nostre scuole è a rischio chiusura. Il mondo delle paritarie 'conta' su 866mila alunni e sul sostegno delle loro famiglie. Complessivamente, dà lavoro a circa 100mila persone in oltre 13mila scuole.
Passando dalla suggestione dei numeri alla cruda realtà, ecco le storie delle prime quattro vittime della pandemia. «A causa dell’emergenza sanitaria la comunità è chiamata a un onere maggiore che non è più in grado di sostenere e pertanto, con rincrescimento, è costretta ad interrompere l’attività al 31 agosto 2020», scrivono, in una lettera alle famiglie, i padri Somaschi di Casa San Girolamo di Vercurago, in provincia di Lecco, annunciando la chiusura dell’asilo nido “Il villaggio dei folletti” e della sezione Primavera. Arriva così al capolinea una storia ventennale inserita in un percorso di accoglienza e assistenza dei bambini avviato dai religiosi nel 1967. La «precarietà della situazione economica, aggravata dall’emergenza sanitaria», ha portato anche le suore Serve di Maria Addolorata a chiudere la scuola dell’infanzia e primaria “Mater Divinae Gratiae” di Milano. «La scuola non riesce più ad adempiere ai propri obblighi nei confronti dei dipendenti e le famiglie si trovano in grossa difficoltà a saldare il proprio contributo annuale», scrive ai genitori, suor Simona Goretti, superiora generale dell’Istituto. Che lamenta anche «la sensibile diminuzione del numero degli alunni iscritti per il prossimo anno scolastico» e «l’aggravarsi della situazione economica generale dovuta agli effetti recessivi della pandemia».
A Messina, genitori e alunni hanno promosso una manifestazione per denunciare la chiusura dei licei classico e scientifico “Don Bosco”, storiche istituzioni del capoluogo dello Stretto, sollecitando le istituzioni, locali e nazionali, a sostenere gli istituti non statali con risorse adeguate. «Nonostante l’impegno e lo sforzo per trovare una soluzione alla crisi economica e sanitaria che ci ha travolto, siamo nell’impossibilità di proseguire nel servizio finora reso alla nostra comunità», scrivono, infine, le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, annunciando la chiusura della scuola materna paritaria “Duca d’Aosta” di Sabaudia, in provincia di Latina.
Proprio le scuole materne rischiano di essere tra le principali vittime della crisi sanitaria prima ed economica poi. A Prato, il vescovo Giovanni Nerbini ha espresso «sostegno» alle 21 scuole della Fism e ai loro 1.400 alunni, auspicando «che il governo faccia tutto quello che è possibile» per sostenere queste realtà. La Fism della Lombardia, prima dell’emergenza Covid, aveva già ricevuto notizia che il prossimo anno altre sedici realtà non avrebbero riaperto. Numero che, temono all’associazione delle scuole materne non statali, la pandemia farà crescere ulteriormente.
Al momento, comunque, è certo che per almeno 1.200 bambini dovrà essere trovata una soluzione alternativa, in un contesto educativo che, in molti territori, vede una presenza assolutamente marginale dello Stato, mentre per oltre cento lavoratori, soprattutto donne, si apriranno le porte della disoccupazione. Una valanga che la politica può arrestare aumentando i finanziamenti previsti nel decreto Rilancio, che la settimana prossima approderà alla commissione Bilancio della Camera, per la votazione degli emendamenti.
Molti dei quali puntano a raddoppiare i 150 milioni attualmente previsti (80 per i servizi 0-6 anni e 70 per le scuole, dalla primaria alle superiori, ma soltanto fino ai 16 anni, escludendo quindi le quarte e quinte classi). E «uno stanziamento equo» chiedono anche il Forum delle Famiglie e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, in una lettera al premier Giuseppe Conte e alla ministra Azzolina. «Una libertà a pagamento non è vera libertà», ricordano i firmatari del documento.