Attualità

INTERVISTA. Magatti: «Non sottovalutiamo questa rabbia»

Paolo Lambruschi venerdì 14 ottobre 2011

​Anche se gli Indignati italiani paiono ancora un fenomeno a tempo, la rabbia che esprimono non va sottovalutata. Perché potrebbe diffondersi in fretta. Il sociologo ed economista Mauro Magatti, preside della facoltà di sociologia della Cattolica, guarda con attenzione quanto sta accadendo nelle piazze di tutto l’Occidente.

Alla vigilia del corteo di sabato a Roma, come definisce il fenomeno?È di caratura internazionale, non riguarda solo l’Italia. Certamente sta assumendo quanto meno dimensioni europee e affonda le radici in questo passaggio storico, caratterizzato da difficoltà presenti e incertezza per il futuro che tocca le giovani generazioni. Non va sottovalutato. Penso a quanto è accaduto negli ultimi mesi in Francia, in Spagna, e l’esplosione di rabbia con i riots di Londra.

Può diventare un movimento paragonabile alla primavera araba?Può diventare qualcosa di simile, nel senso che può diffondersi perché la rabbia si sta espandendo in tutto il tessuto sociale. Del resto erano parecchi anni che non si vedeva una crisi così prolungata nel tempo. Probabilità che si espanda?Vede, gli ultimi dieci anni sono stati caratterizzati da una forte conflittualità sociale. Abbiamo assistito, però alla nascita di diversi movimenti di protesta molto intensa, ma sempre episodica. Neanche questo ha mostrato finora discontinuità dai precedenti.

Cosa è mancato per dare continuità alla protesta nel tempo?Non è facile organizzare un movimento e dargli un assetto duraturo. E non è facile dargli un senso che possa trascinare milioni di persone in una società che è sempre più aperta e frammentata. Prenda i bersagli di queste giornate di rabbia: le banche, l’agenzia Moody’s e Bankitalia. In realtà nessuno sa chi siano i veri protagonisti della crisi, l’impressione è che te la stai prendendo con il primo che passa. Il problema è che il sistema che abbiamo creato con la globalizzazione è quasi misterioso e impersonale, non è fatto da persone elette, da volti e nomi. Non puoi prendertela a lungo con Moody’s. Insomma, in fondo è solo un’agenzia di rating.

Eppure la protesta urla slogan contro le ingiustizie. «Noi 99, voi 1» gridano negli States i manifestanti contro l’1% dei ricchi. Non c’è una matrice ideologica comune, una saldatura con l’autonomia e i movimenti no global?Possono esserci delle frange, ma per ora mi pare prevalga l’aspetto di rabbia spontanea a forte intensità scatenata sul breve periodo.

La considera veramente la protesta di una generazione precaria ed esclusa dal benessere? Le immagini mostrano anche capelli e barbe sale e pepe tra i dimostranti di casa nostra...Se mi permette una battuta, prima di rispondere mettiamoci d’accordo sul termine della gioventù nel Belpaese. Perché anche in questo caso è difficile stabilire chi sia giovane. Diciamo che se, fino a qualche anno fa era una condizione che finiva a 25 anni, oggi si può protrarre fino alle porte degli "anta". Così accanto agli universitari e agli studenti delle superiori ci sono 35-40 enni disoccupati, precari e sottopagati costretti a vivere in casa con la famiglia d’origine, quindi in una situazione di mancanza di autonomia simile a quella giovanile. Ecco perché sfilano con gli Indignati.

Un movimento di arrabbiati che può durare più dei precedenti?Gli elementi ci sono tutti. Colpa della politica, anzitutto, che finora non ha saputo mettere in campo risposte a questo disagio economico e sociale che ha colpito soprattutto i giovani, anzi l’ha ignorato. E poi la crisi finanziaria non trova al momento sbocchi. Le tensioni sono destinate a propagarsi. Perciò questa protesta degli Indignati va presa sul serio.