«Sono venute fuori delle ipotesi divertenti...». Sono le sette di sera di un’altra giornata infiammata dalle polemiche su politica e giustizia, quando Silvio Berlusconi non ce la fa più. I discorsi ricorrenti su un possibile voto della Giunta per le elezioni del Senato sulla sua ineleggibilità, l’hanno fatto spazientire. L’ipotesi è di far applicare una legge del 1957, che vieta l’elezione di titolari di concessioni nazionali, come quelle su radio e tv. Il Cavaliere la bolla come «divertente», ma è l’affondo politico a dargli fastidio, perché potrebbe far incrinare la solidità dell’asse «epocale» fra Pd e Pdl su cui si regge il governo: «Mi sembra - attacca Berlusconi in un’intervista ai Tg Mediaset - che qualcuno abbia portato avanti da una parte l’ipotesi di ineleggibilità del sottoscritto, dopo 20 anni di voti di milioni di italiani e dopo tanti Parlamenti che hanno approvato la mia eleggibilità. E, dall’altra, l’ineleggibilità o incandidabilità del M5S che, benché si possa dire tutto il peggio, è stato votato da milioni di italiani. Questo qualcuno è un genio, perché eliminerebbe Grillo e il sottoscritto col Pdl, così il Pd correrebbe da solo... Dove e perché l’hanno tenuto nascosto fino adesso?».Un’ironia che non maschera il suo disappunto, al termine di una giornata in cui il sismografo politico-giudiziario ha registrato altre due scosse. La prima è figlia dello "sciame" che dura da settimane e riguarda la travagliata elezione della presidenza della Giunta per le elezioni di Palazzo Madama: una poltrona agognata dal Movimento 5 Stelle, che avrebbe pronta nel cassetto una lista di «ineleggibili», Berlusconi in testa. «È solo una trovata propagandistica - osserva dal Pdl il presidente della commissione Giustizia, Francesco Nitto Palma - perché la questione è stata discussa più volte dal 1996 e sempre bocciata». Fra i Democratici, Stefano Fassina è contrario («Il Pd non vuole eliminare nessuno»), come Luciano Violante («Nelle passate legislature, il centrosinistra ha votato contro. Se non ci sono fatti nuovi, non vedo perché dovremmo cambiare scelta»). Altri, come il capogruppo al Senato Luigi Zanda, ritengono Berlusconi ineleggibile. Il Pdl resta comunque sul chi va là, temendo un asse fra Pd e M5S, e adombra il rischio di una crisi di governo qualora si voti sul punto. Il clima finora ha ostacolato un accordo sulla presidenza della Giunta, di norma spettante alle opposizioni: l’elezione, prevista ieri, è slittata a «data da destinarsi» (forse la prossima settimana), su richiesta della maggioranza per dare modo a Sel, Lega, Fdi e M5S di ragionare su un candidato condiviso, in un accordo complessivo che potrebbe riguardare pure le commissioni bicamerali di Copasir e Vigilanza Rai.L’altro scossone è arrivato in mattinata, quando la commissione Giustizia del Senato ha messo all’ordine del giorno un disegno di legge presentato da Gian Luigi Compagna (Gal) e con relatore il collega del Pdl Giacomo Caliendo: nel testo, le proposte di dimezzare (5 anni, attualmente è fino a 12) la pena massima per concorso esterno in associazione mafiosa e di non prevedere le intercettazioni a carico di chi supporta le mafie. L’infelice scelta di tempo (è la vigilia della strage di Capaci) e i contenuti suscitano un putiferio, con l’Anm e le procure antimafia infuriate e gli altri partiti che sparano a zero: «L’esame del ddl avrà tempi così lunghi che Dell’Utri non riusciranno a salvarlo», protesta il senatore del Pd Felice Casson, alludendo alla possibilità di vantaggi (in virtù del <+corsivo>favor rei<+tondo>) per l’ex senatore condannato. «Non lo voteremo mai», assicura il leghista Nicola Molteni. Alla fine, su invito del capogruppo del Pdl Renato Schifani, Compagna ritira il testo: «Resto convinto della necessità di tipizzare il concorso esterno in associazione mafiosa. Ma lo ritiro per una ragione politica. Non voglio creare problemi nei rapporti tra Pd e Pdl». Nel merito, insomma, molto rumore per nulla. Sul piano politico, invece, una conferma della solidità del patto di governo che, per ora, ha la forza di disinnescare le mine che arrivano dall’interno della maggioranza.