Attualità

POLITICA E GIUSTIZIA. L'alt di Napolitano ai veleni del «nulla»

Antonio Maria venerdì 22 giugno 2012
​Prima una nota ufficiale della Presidenza della Repubblica, poi le precisazioni su Twitter del portavoce. Ma la valanga di intercettazioni sull’inchiesta sulla "trattativa" Stato-mafia pubblicate sui quotidiani e le accuse di «interferenza» a lui e ai suoi collaboratori, non si fermano. E allora Giorgio Napolitano, di fronte al «fango che sta piovendo sul Colle», scende in campo in prima persona. Occasione pubblica, la festa della Guardia di Finanza a L’Aquila, e il presidente non si tira indietro di fronte alla domande dei giornalisti. E più che una difesa è un vero e proprio affondo. «Contro di me insinuazioni e sospetti basati su nulla. Il mio impegno è per accertare la verità. I cittadini sanno che terrò fede ai miei doveri costituzionali». Ma il suo principale accusatore, Antonio Di Pietro non molla la presa: «Il presidente della Repubblica dovrebbe sapere bene che nessuno, neppure lui è al di sopra e al di fuori della legge». Anche se poi, di fronte alla corale solidarietà al capo dello Stato di tutte le forze politiche e dei vertici istituzionali, a cominciare dal presidente della Camera, Gianfranco Fini che definisce «irresponsabile delegittimare» il capo dello Stato, il leader dell’Idv precisa che la richiesta di una commissione parlamentare d’inchiesta non riguarda l’operato del Colle ma solo la vicenda della presunta "trattativa".Napolitano «ci ha voluto mettere lui direttamente la faccia, per spiegare una volta per tutte il suo operato», riflettono persone a lui vicine. Ma soprattutto «invertendo l’onere, chiedendo ora lui la verità, ma sulla base di strumenti corretti e non con "interpretazioni arbitrarie e tendenziose, talvolta persino versioni manipolate"». Ci tiene molto il capo dello Stato al concetto di "verità", proprio perché le accuse nei suoi confronti riguardano presunti intralci al suo raggiungimento, interferenze che, secondo chi lo tira in ballo, sarebbero nate dalle richieste di intervento dell’ex ministro, Nicola Mancino. E allora le parole che Napolitano usa sono pesanti. Una totale difesa sua e dei suoi collaboratori. Il presidente non molla neanche Loris D’Ambrosio, il consigliere intercettato in diverse telefonate con Mancino. Di sue dimissioni non se ne parla proprio. E lo conferma anche la sua presenza all’Aquila, nello staff del presidente. Avvicinato dai giornalisti D’Ambrosio non pronuncia neanche la parola "buongiorno" e si allontana in fretta. A difenderlo ci pensa il Presidente. «Negli ultimi giorni si è alimentata una campagna di insinuazioni e sospetti nei confronti del Presidente della Repubblica e dei suoi collaboratori, una campagna costruita sul nulla. Si sono riempite pagine di alcuni quotidiani con le conversazioni telefoniche intercettate in ordine alle indagini giudiziarie in corso sugli anni delle più sanguinose stragi di mafia, 1992-1993, e se ne sono date interpretazioni arbitrarie e tendenziose, talvolta persino versioni manipolate». Invece, sottolinea citando «coloro che sono intervenuti, e stanno intervenendo avendo seria conoscenza del diritto e delle leggi e dando una lettura obiettiva dei fatti», la «assoluta correttezza del comportamento della Presidenza della Repubblica» è stata «ispirata soltanto a favorire la causa dell’accertamento della verità anche su quegli anni». In questo senso va anche, assicura il presidente, «la lettera riservata al Procuratore Generale della Corte di Cassazione» che tante accuse gli ha fatto piovere addosso. Lettera che lui stesso ha deciso di rendere pubblica con serenità e con massima trasparenza».Una linea che non intende abbandonare, rivendicando le proprie competenze. «Continuerò - perché è mio dovere ed è mia prerogativa - ad operare affinché vada avanti nel modo più corretto e più efficace, anche attraverso i necessari coordinamenti, l’azione della magistratura. I cittadini possono essere tranquilli che io terrò fede ai miei doveri costituzionali». Doveri e prerogative. Ma anche stimolo al Parlamento. Così di fronte al fiume di intercettazioni che riempiono i giornali, il Presidente, pur con un giro di parole, quasi tira le orecchie alle Camere sulla riforma della materia. «Questa – dice rispondendo a una domanda – è una scelta che spetta al Parlamento, ed è per la verità una scelta da molto tempo all’attenzione del Parlamento. Se da tanto tempo è all’attenzione del Parlamento vuol dire che si tratta di una questione che meritava già da tempo di essere affrontata e risolta sulla base di una intesa la più larga possibile». Parole chiare, l’ultimo sassolino che si toglie dalle scarpe prima di lasciare L’Aquila, peraltro nuove rispetto a un passato nel quale il capo dello Stato era sì intervenuto, ma soprattutto preoccupato della difesa della libertà di stampa.E proprio sulle intercettazioni interviene il Pd con un’interrogazione del vicesegretario, Enrico Letta e del responsabile giustizia, Andrea Orlando, in cui si manifesta «preoccupazione per le notizie apparse sulla stampa a proposito di intercettazioni riguardanti conversazioni del Presidente della Repubblica» e si chiede al Guardasigilli «se tali notizie corrispondono al vero e su quali basi giuridiche e quali presupposti di fatto siano state eventualmente disposte. Tali intercettazioni – aggiungono – costituirebbero un caso senza precedenti nella storia del Paese».