Attualità

L'inchiesta. Mafia Capitale, l'inchiesta sfiora il governo

Vincenzo R. Spagnolo venerdì 5 giugno 2015
Prima giornata di interrogatori nel carcere romano di Regina Coeli per alcuni dei 44 arrestati nell'ambito della seconda tranche dell'inchiesta «Mondo di mezzo», che ha rivelato l'esistenza di una presunta rete politico-affaristico-mafiosa che puntava ad accaparrarsi appalti milionari del Comune di Roma e della Regione Lazio, ma anche relativi alla gestione dei centri d'accoglienza per migranti. Un'organizzazione che secondo i pm faceva capo secondo i magistrati all'ex terrorista dei Nar Massimo Carminati, coadiuvato da Salvatore Buzzi, fino a dicembre presidente della cooperativa sociale «29 giugno». Il gip Flavia Costantini ha sentito coloro che sono stati reclusi a Regina Coeli: tra questi Mirko Coratti, già presidente dell'Assemblea Comunale; Francesco Ferrara, dirigente della cooperativa "La Cascina"; il dirigente comunale Angelo Scozzafava e l'ex assessore della giunta Marino, Daniele Ozzimo. Poi sarà la volta di tutti gli indagati condotti ieri nel carcere di Rebibbia.​ Il primo a rispondere è stato Mirko Coratti (Pd), ex presidente dell'assemblea capitolina, che ha respinto l'accusa di corruzione: «Non ho mai avuto rapporti, illeciti o di natura economica con Buzzi. Basta leggersi le carte dell'inchiesta: non c'è una sola conversazione con lui, intercettata, che mi riguardi». Coratti, difeso dall'avvocato Filippo Dinacci, sostiene di non aver mai beneficiato di somme di denaro di provenienza. Ha respinto ogni accusa pure Francesco Ferrara, vicepresidente della cooperativa La Cascina, interrogato per quasi tre ore. Accusato di corruzione e turbativa d'asta e difeso dall'avvocato Massimo Biffa, in relazione alla vicenda del cara di Mineo, Ferrara afferma di non aver alterato alcuna gara di appalto. Anche Daniele Ozzimo (Pd), ex assessore alla Casa del Comune di Roma, nega ogni addebito, asserendo di aver avuto con Buzzi soltanto "rapporto politici". Dal canto suo, la cooperativa La Cascina con una nota informativa fa sapere che «i provvedimenti che hanno interessato alcuni propri dirigenti non riguardano in alcun modo reati di mafia». Lo comunica il presidente del Consiglio di amministrazione, Giorgio Federici: «Nessuno dei soggetti coinvolti è accusato di aver tenuto comportamenti mafiosi. Il fulcro degli addebiti mossi nei confronti de La Cascina riguarda il centro di accoglienza dei richiedenti asilo (Cara) Di Mineo, sito nei pressi di Catania. A tale riguardo è ferma convinzione della cooperativa che le procedure di affidamento si siano svolte nel pieno rispetto della normativa vigente e conformemente ai criteri di evidenza pubblica». Anche il Il presidente della Regione Lazio Zingaretti commenta: «Ciò che emerge è inquietante, ma in Regione abbiamo bandito gare per 3,9 miliardi di euro e quei signori non hanno proprio toccato palla». Gli altri 21 indagati Prosegue il vaglio dei Carabinieri del Ros sul materiale sequestrato nel corso delle perquisizioni compiute ieri. Ed emergono indiscrezioni sugli altri 21 indagati nell'inchiesta. Fra loro ci sarebbe Marco Visconti, nella sua qualità di assessore ai Lavori pubblici del Comune di Roma dal gennaio 2011 al febbraio 2013. Nel decreto di perquisizione della Procura di Roma a suo carico, si sostiene che abbia ricevuto «a più riprese» 200.000 euro da Salvatore Buzzi, braccio destro di Carminati, «per la vendita della sua funzione e per il compimento di atti contrari ai doveri del suo ufficio». Fra gli altri indagati ci sarebbero: Antonio Pulcini, costruttore e padre di Daniele (agli arresti domiciliari da ieri); Calogero Salvatore Nucera, ex capo segreteria di Francesco D'Ausilio quando era capogruppo del Pd in consiglio comunale a Roma; Patrizia Cologgi, ex capo del dipartimento della protezione civile comunale; Clelia Logorelli, responsabile parchi e giardini di Eur Spa; Mirella Di Giovine, ex direttore del Dipartimento Patrimonio del Campidoglio; Silvio Praino, imprenditore alberghiero impegnato nelle strutture di accoglienza dei migranti; Maurizio Marotta, presidente della cooperativa Capodarco; e ancora Fabrizio Amore, Ettore Lara e Gabriella Errico, la presidente della cooperativa "Un sorriso" finita sotto i riflettori nei mesi scorsi, durante le violente proteste scoppiate nel quartiere della periferia romana di Tor Sapienza tra i residenti e gli immigrati del centro d'accoglienza gestito dalla cooperativa. Il reato che le viene contestato è turbativa d'asta, anche se il gip ha deciso di rigettare la richiesta di misura cautelare spiegando che nei suoi confronti «possa essere effettuata una prognosi favorevole, in ordine all'astensione dalla commissione di ulteriori reati, tenuto anche conto della pena che ragionevolmente potrà essere irrogata». «L'impero in Venezuela» «M'hanno dato dei soldi... che devo versare in Venezuela... Non posso versarli tutti perché sennò mi fanno la segnalazione all'antiriciclaggio... Più di 5mila euro per ogni versamento ti segnalano subito... Complessivamente m'hanno dato circa 30mila euro da versare...». Sono stralci di una conversazione di Luca Odevaine, indagato nell'inchiesta e agli arresti da dicembre, inclusi nei rapporti investigativi dei Carabinieri del Ros, che avrebbero documentato cinque episodi di «effettiva consegna delle somme di denaro» in suo favore, pattuite da lui con i dirigenti del gruppo La Cascina finiti in manette. Denaro che Odevaine giustificava asserendo presunte entrature con gli uffici del Viminale: «Avendo questa relazione continua con il Ministero... sono in grado un pò di orientare i flussi che arrivano da giù anche perché spesso passano per Mineo e poi vengono smistati in giro… un po' a Roma e un po' nel resto d'Italia». Anche Buzzi, in una conversazione intercettata nei suoi uffici a marzo di un anno fa, commenta con ironia le attività di Odevaine in Sudamerica: «Ma no scusa ma se Odevaine c'ha tutta sta roba, scusa, perchè se tu sei stipendiato dal Comune e pigli 3mila euro al mese come fai ad averci un impero in Venezuela? Scusa, ma c'ha mezzo Venezuela! come se l'è fatto? col risparmio dello stipendio». Inchiesta in Sicilia sul sottosegretario Castiglione (Ncd). Lui: sono sereno, escludo mie responsabilità C'è il sottosegretario all'Agricoltura, Giuseppe Castiglione (Ncd), tra i sei indagati per turbativa d'asta in un'inchiesta della Procura di Catania sull'appalto per la gestione del Cara di Mineo, collegata alle vicende di presunta corruzione svelate dalla seconda tranche della maxi-indagine di Roma. La notizia trova riscontro nel decreto di perquisizione eseguito ieri dai carabinieri del capoluogo etneo negli uffici comunali di Mineo, che ha portato all'acquisizione di tutti gli apparecchi informatici e i supporti digitali negli uffici in uso diretto e indiretto del sindaco del comune siciliano. «Ora basta, sia fatta luce - si difende Castiglione -. Sono assolutamente sereno. Se ci sarà una mia responsabilità, che io escludo assolutamente, non dovrà prendere provvedimenti qualcuno, ma li prenderò io personalmente». Nelle 7 pagine del decreto, che vale anche come informazione di garanzia, ci sono i nomi di sei indagati: Giuseppe Castiglione, che è anche deputato e coordinatore del Ncd in Sicilia; Giovanni Ferrera, direttore generale del Consorzio tra Comuni, Calatino Terra di Accoglienza; Paolo Ragusa presidente della Cooperativa Sol. Calatino; Luca Odevaine consulente del presidente del Consorzio dei Comuni"; i sindaci di Mineo e Vizzini, Anna Aloisi e Marco Aurelio Sinatra. Nel decreto la Procura ipotizza che gli indagati «turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del Cara di Mineo del 2011, prorogavano reiteratamente l'affidamento e prevedevano gara idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara di appalto 2014». Cantone: l'appalto del Cara di Mineo era «un abito su misura» Da mesi l'Autorità anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone, aveva acceso un faro sul Cara di Mineo: «A noi era apparso immediatamente un abito su misura ­­- osserva Cantone -. Abbiamo evidenziato una serie di gravi irregolarità di quell'appalto. Qui ognuno deve fare la sua parte. Il livello vero della preoccupazione è il clamoroso coinvolgimento di pezzi dell'amministrazione pubblica, soprattutto politica. Ora siamo al paradosso che ci sono gli arresti e l'appalto è ancora in corso». Rispetto all'inchiesta su mafia capitale «è in corso un'attività ispettiva che dovrà dimostrare una serie di cose. Spetterà al prefetto di Roma capire qual è la situazione. Bisogna vedere dove sia arrivato il livello di infiltrazione, non dimentichiamo che lo scioglimento del consiglio comunale non è legato ai fatti corruttivi in sé, deve dimostrare l'esistenza di fatti di infiltrazione mafiosa». Sospesi i consiglieri comunali dal prefetto Gabrielli. A metà giugno la relazione sull'accesso in Campidoglio Il prefetto di Roma Franco Gabrielli ha comunicato al sindaco Ignazio Marino la «sospensione di diritto» dei consiglieri comunali Massimo Caprari, Mirko Coratti, Pierpaolo Pedetti e Giordano Tredicine, arrestati ieri nell'ambito dell'inchiesta. Inoltre, spiega la prefettura in una nota, è stata dichiarata la sospensione del sindaco di Castelnuovo di Porto, Fabio Stefoni, anch'egli colpito dalle misure restrittive adottate dal gip. Infine, è stata avviata la procedura per la dichiarazione della sospensione del consigliere regionale Luca Gramazio. Per Gabrielli, «il vero terremoto ci fu a dicembre, questo è un aftershock», ossia una scossa di assestamento, ma il quadro dell'inchiesta «è impressionante, disarmante, profondamente lesivo della credibilità delle istituzioni. Dalle carte, tenendo ferma la presunzione d'innocenza, emergono intrecci, relazioni molto preoccupanti». Riguardo invece alla relazione della commissione d'accesso nominata a dicembre dal Viminale per ispezionare gli atti del Campidoglio, secondo Gabrielli gli ispettori lavoreranno fino al 15 giugno: «Si prenderanno tutto il tempo, anche tenendo conto dell'appendice corposa di ieri». Ad oggi, riferisce il prefetto, «non conosco gli esiti dell'attività, ma so che la relazione sarà corposissima, è già arrivata a 700 pagine. Io mi prenderò dal 15 giugno tutti i 45 giorni previsti. La procedura prevede che il prefetto si avvalga della consulenza del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza. Poi deciderò e lo comunicherò al ministro dell'Interno. Se dopo ulteriore istruttoria, riterrà che il Comune debba essere sciolto, proporrà lui lo scioglimento al Consiglio dei ministri, che è l'organo preposto a questa decisione».