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MAFIA. Brusca: «La trattativa Stato-mafia iniziò dopo l'attentato a Falcone»

lunedì 10 ottobre 2011

Riina gli parlò della presunta trattativa con lo Stato prima della strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Giovanni Brusca, uno dei killer più sanguinosi di Cosa nostra, oggi collaboratore di giustizia, dice di ricordare con esattezza, 19 anni dopo, cosa accadde dopo il giorno in cui innescò la carica di tritolo sotto l’autostrada di Capaci. «Totò Riina mi parlò del papello (ossia le richieste di Cosa nostra allo Stato per fermare la stagione delle stragi, ndr) e della trattativa, per la prima volta, certamente prima della strage di via D’Amelio» afferma con voce chiara Brusca, collegato in videoconferenza, al processo di Palermo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Il collaboratore, che aveva già anticipato la trattativa ai giorni che intercorsero tra l’eccidio di Capaci e quello di via D’Amelio, ha voluto aggiungere nuovi particolari e ha chiesto ai giudici di tornare a testimoniare.

L’ultima volta Brusca era stato ascoltato, sempre al processo Mori, il 18 maggio scorso a Rebibbia. E in quell’occasione aveva già parlato dell’incontro con Riina, ma non era riuscito a collocare la data con certezza. Adesso Brusca, davanti alla quarta sezione del Tribunale di Palermo, presieduta da Mario Fontana, parla di un incontro con Riina tra la fine giugno e gli inizi luglio del 1992. «Dopo l’audizione del 18 maggio sono tornato in cella e ho ricordato come sono andati i fatti - chiarisce Brusca -. Incontrai Riina a casa del boss Girolamo Guddo e lì, dopo esserci appartati per una decina di minuti, mi disse: “Finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato il papello con le richieste scritte”. In quella occasione me ne parlò per la prima volta. Sempre allora si vantava del fatto che erano stati mobilitati anche i servizi segreti anche se non era così. Mi disse che lo Stato se l’era fatta sotto e mi fece intendere dell’esistenza della trattativa». Successivamente Brusca e il capomafia corleonese si sarebbero visti in un’altra occasione per programmare un duplice omicidio, ma non sarebbero tornati a discutere del papello. Il 16 luglio del ’92, tre giorni prima dell’omicidio di Borsellino, Brusca avrebbe incontrato il boss Salvatore Biondino (l’autista di Riina) che gli avrebbe accennato ad un "lavoro da compiere".

Il pentito avrebbe poi capito che si riferiva alla strage di via d’Amelio. Sempre in quella occasione, Biondino gli avrebbe riferito da parte di Riina di sospendere  i preparativi di una serie di attentati progettati a politici, come gli ex ministri Calogero Mannino e Carlo Vizzini. Infine, Brusca ricorda di avere rivisto Riina a metà agosto del ’92. Dettagli che il collaboratore fornisce a riprova del fatto che di trattativa si parlò prima dell’eccidio di via D’Amelio. In occasione dell’incontro di agosto, a cui erano presenti anche i boss Vincenzo Sinacori e Leoluca Bagarella, sarebbe venuta fuori l’esigenza «di dare un altro colpetto per far tornare qualcuno a trattare».

Queste nuove informazioni potrebbero rafforzare l’ipotesi investigative secondo cui il giudice Borsellino, informato della trattativa, fu eliminato perché rappresentava un ostacolo ai contatti tra i vertici mafiosi ed esponenti delle istituzioni. Brusca cita anche per la prima volta Gaspare Spatuzza, collaborante che ha permesso di riaprire le indagini sulla strage di via D’Amelio, ma sulla cui attendibilità i magistrati non hanno tutti lo stesso parere. Spatuzza gli avrebbe riferito del fallito attentato allo stadio Olimpico, programmato per il gennaio del 1994, «una vendetta nei confronti dei carabinieri che ci hanno preso in giro». Brusca non ha specificato quando avrebbe ricevuto queste confidenze da Spatuzza, anche se ha puntualizzato che fu sicuramente dopo il 1994, perché dell’attacco all’Olimpico non aveva alcuna conoscenza.