Secondo noi. Nella vicenda di Sangiuliano troppe esitazioni per un finale già scritto
Quando la sfera pubblica e quella privata si mescolano fino a diventare indistinguibili, i guai sono assicurati. Non ce ne voglia Gennaro Sangiuliano, ma è un’esperienza toccata a personaggi perfino più illustri di lui. Non era necessario sapere se i biglietti aerei e i conti d’albergo della dottoressa Boccia siano stati pagati dall’ex ministro di tasca sua o con pubblici denari, per capire che la posizione di Sangiuliano non fosse più sostenibile.
Certo, è importante accertarlo ed è auspicabile che venga fatto nelle sedi competenti. E non è nemmeno un problema di effettiva ricattabilità o meno, perché già il fatto che un ministro della Repubblica sia, per diversi giorni consecutivi, in balia di una signora senz’altro molto abile nella comunicazione e nell’uso dei social, è di per sé motivo d’imbarazzo ed elemento di intralcio per il sereno svolgimento delle attività di governo. Tanto più se tali attività riguardano un importante e imminente appuntamento come il G7 della Cultura, di cui fin qui si è parlato soltanto in funzione della vicenda che ha investito il ministro incaricato di organizzarlo.
Alla luce di tutto ciò è evidente che no, non si tratta soltanto di «gossip», come hanno invece affermato prima la presidente Meloni e poi lo stesso Sangiuliano. Ma di una questione politica, che interessa anche il modo di intendere la politica stessa. Del resto, un pettegolezzo infondato si liquida con una scrollata di spalle, quando è innocuo, o con una querela per diffamazione, quando costituisce effettivamente un pericolo. Quasi mai con una “confessione” in prima serata sul primo telegiornale del servizio pubblico televisivo. Una “confessione” durante la quale, tra l’altro, l’allora ancora ministro aveva rivelato di avere già presentato le sue dimissioni alla premier, la quale però le aveva respinte.
E questo rimane forse il mistero più grande di tutta questa storia: perché? Per non farsi imporre la decisione dal pressing di giornali e opposizioni, è stato detto. Tuttavia, tre giorni dopo, Meloni è stata costretta ad accettare quelle stesse dimissioni, travolta dall’onda delle continue dichiarazioni della signora Boccia, che aveva chiaramente cominciato a mettere nel mirino anche lei e il governo, se non altro come bersagli dei suoi post sui social. Perciò il finale era già scritto, almeno da tre giorni. Posticiparlo, trascinando la questione, non ha giovato all’immagine dell’esecutivo.