Elezioni. Ma l'aborto è un "diritto"? E il dibattito politico si incarta
E così l’aborto è entrato tra i temi di campagna elettorale. Con autorevoli esponenti dei partiti di sinistra che in caso di vittoria del centrodestra evocano lo spettro americano (la sentenza della Corte Suprema che ha cancellato la regolamentazione federale) e quelli di centrodestra che per scansare i colpi giurano di non aver in programma nessuna modifica della legge 194.
Dopo l’affondo di Chiara Ferragni, che perlomeno ha avuto il merito di scoperchiare il castello di fake news sulla Regione Marche, ieri è sceso in campo il ministro della Salute. Roberto Speranza, candidato nelle liste Pd, ha espresso le sue preoccupazioni: «Se qualcuno ha in testa di mettere mano alla legge 194 sull’aborto è bene dirlo perché gli italiani devono scegliere e sapere a cosa si va incontro – ha detto –. Se lo scenario è all’americana, in cui si cancellano questi diritti, è bene essere chiari».
Naturalmente in Italia non esiste alcun scenario americano e i partiti del centrodestra si trovano nella condizione di fare "giurin giuretto" che non intendono modificare la legge 194. Lo ha fatto la Lega con Matteo Salvini («Non è nel nostro programma»), Forza Italia con Antonio Tajani («La legge in vigore rimane in vigore») e Fratelli d’Italia con Eugenia Roccella («La legge 194 non è in discussione»).
Un totem, dunque, a sinistra come a destra? Non proprio: in realtà le divergenze sono sostanziali. Autorevoli esponenti di entrambi gli schieramenti, infatti, esigono che la legge sia «applicata per intero», ma con intenti diversissimi.
A sinistra si agita la scarsità di medici non obiettori per dire che il «diritto all’aborto» non è garantito (è sufficiente però dare un’occhiata alla Relazione annuale per accorgersi che se disfunzioni ci sono – e talvolta ci sono – sono causate da questioni organizzative, per risolvere le quali sarebbe liberticida annullare la libertà di coscienza dei medici), a destra invece si chiede che sia applicata in toto la parte della legge che sostiene la maternità difficile con aiuti alle donne, che oggi sono forniti solo da associazioni private come il Movimento per la Vita.
Ma c’è un’altra questione che sta emergendo, ed è quella del 'diritto all’aborto'. Siamo sicuri che l’aborto sia da classificare nella categoria dei diritti? Non è invece una prestazione medica offerta dal servizio sanitario a determinate condizioni vista la posta in gioco, cioè la vita di un bambino non ancora nato, e da garantire a tutte le donne che la richiedano una volta soddisfatte queste condizioni?
A porsi la domanda erano state perfino le donne che lottarono per ottenere la legge. Memorabile la risposta della filosofa Luisa Muraro, madre nobile del femminismo italiano, in una intervista ad Avvenire nel 2018, nel 40esimo anniversario della 194: «L’aborto è un rifiuto, un ripiego, una necessità. La donna che non vuole diventare madre subisce un intervento violento sul suo corpo per estirpare questo inizio di vita. Pensavamo, e pensiamo tuttora, che se si fa dell’aborto un diritto, si autorizza l’irresponsabilità degli uomini». Ma se lo stesso concetto viene espresso da una donna schierata a destra, come ha fatto Eugenia Roccella nei giorni scorsi, apriti cielo, diventa un attentato alla 194.
Sullo stesso fronte va registrata la precisazione di monsignor Vincenzo Paglia, che nei giorni scorsi durante una trasmissione televisiva, all'intervistatrice che chiedeva se la legge 194 potesse essere abolita, aveva risposto che essa costituiva ormai un "pilastro" della vita sociale italiana, tanto è incardinata nell'ordinamento giuridico italiano. E per di più nessuna forza politica al momento intende abolirla.
Questa affermazione ha provocato molto perplessità e aperte critiche. In una nota a firma di Fabrizio Mastrofini, portavoce dello stesso Paglia, si legge che il "presidente della Pontificia Accademia per la Vita ha sottolineato con vigore che era urgente promuovere quella parte della legge che riguarda la difesa e la promozione della maternità. Che poi la legge possa, anzi debba essere migliorata nella direzione di una più piena difesa del nascituro, questo è più che auspicabile, con l'attenzione di evitare il rischio di peggiorare la situazione, come purtroppo in qualche caso è avvenuto".
Secondo il portavoce del presidente dell'Accademia per la Vita, "la reazione che alcuni hanno avuto all'affermazione di monsignor Paglia appare in realtà più che pretestuosa, anzi offensiva. Non solo perché ci si è fermati a considerare una parola ('pilastro') fuori del contesto (e già questo è grave!), ma soprattutto non tenendo conto dei numerosi interventi di mons. Paglia sulla difesa e promozione della vita in tutte le età (dal concepimento sino alla morte) e in tutte le situazioni (quante volte viene umiliata nei bambini, nelle donne, nei carcerati, nei condannati a morte, negli immigrati, negli anziani). Si tacciono completamente poi gli interventi di mons. Paglia contro l'eutanasia e in favore della promozione di una nuova attenzione agli anziani".