L’ultima bandiera della Lega si chiama macroregione e sventola già in mezzo a mille contraddizioni. Sarà perché, come dice il politologo Paolo Feltrin, «Maroni in Lombardia vince, ma la sua è una vittoria zoppa visti i risultati delle Politiche»: il Carroccio ha dimezzato i consensi rispetto al 2008 perdendo terreno un po’ ovunque, eppure nella strategia di Via Bellerio l’obiettivo numero uno era la conquista del Pirellone. Missione compiuta, ma il difficile viene adesso.Per garantirsi la successione a Formigoni, infatti, il neopresidente della Lombardia ha dovuto riproporre l’alleanza obbligata col Pdl, indispensabile per garantirsi i numeri necessari per vincere ma largamente invisa alla base. In Veneto il Carroccio è crollato all’11%, consegnando larghi consensi a Beppe Grillo e soffrendo la concorrenza di Silvio Berlusconi. «Il fronte del Nord è già scricchiolante, anche perché una regione come il Piemonte è tutto tranne che leghista. Nel Nord Ovest, al Senato ha vinto il centrosinistra» fa notare Feltrin.Che consistenza ha il progetto che strizza l’occhio alla cosiddetta euroregione? «È uno slogan ai limiti della
boutade» risponde Maurizio Fistarol, già sindaco di Belluno, da sempre molto vicino alle idee di Massimo Cacciari. «Laddove una volta si parlava di secessione, poi di federalismo – continua l’ex sindaco – oggi si vende al popolo dei militanti la suggestione del 75% delle tasse da gestire in casa propria. Ma la sostanza non c’è».
Le rivalità tra i leader e i dubbi della baseI segnali di una base in movimento, a prescindere dall’esito della battaglia in Lombardia, ci sono già stati nelle scorse settimane: la rivalità tra Tosi e Zaia sulla strategia dei veneti, l’idea del sindaco di Verona di lanciare un nuovo movimento aperto alla società civile, lo scontro sotterraneo tra ex bossiani e maroniani dipingono un partito tutt’altro che compatto. «Non è un mistero che, su base regionale, sia allo studio un modello simile alla Csu bavarese, per differenziarsi e distanziarsi dal modello lombardo della Lega» osserva il direttore scientifico della Fondazione Nord Est, Daniele Marini. La sfida sembra essere più quella di un maggior radicamento regione per regione, piuttosto che quella di un patto a tre sull’asse Torino-Milano-Venezia come auspicato da Maroni. D’altra parte, «ha più senso immaginare una piattaforma produttiva tra Lombardo Veneto ed Emilia, che non la macroregione. Il problema è che le ragioni per una politica intraregionale ci sono tutte – spiega Feltrin – ma non sull’asse Nord Ovest-Nord Est. E poi si dovrebbe parlare di integrazione sulle politiche industriali e sui servizi, non certo di tasse».
La "competition" con BerlusconiPer Mario Rodriguez, docente di comunicazione politica all’Università di Padova, in realtà «nella strategia di Maroni sembra emergere un filo di concretezza in più rispetto a Bossi. Questo rende il suo progetto in un certo senso più pericoloso per gli equilibri che si creeranno rispetto allo Stato centrale». Da questo punto di vista, secondo Marini, «c’è un ritrarsi della Lega al Nord» che va letto in due modi: da un lato come rivendicazione identitaria molto forte, dall’altro come una sorta di dichiarazione di resa nei confronti di Roma.Cionostante, l’ipotetico asse del Nord non potrà non fare i conti con la nuova situazione di ingovernabilità creatasi in Parlamento. Cosa farà la Lega in questo inizio di legislatura? E chi potrà garantire sull’alleanza col Pdl che, va ricordato, in campagna elettorale non portò neppure all’indicazione di un candidato premier condiviso? L’unica certezza è che il voto del 24-25 febbraio, nel sancire la vittoria della scommessa di Maroni, ha detto anche che si è (ri)aperta la
competition col Popolo della libertà. Nel 2010 fu il Carroccio a superare il Pdl, oggi è accaduto il contrario e tra due anni si voterà per il Veneto. «Berlusconi si è dimostrato ancora una volta icona di se stesso e questo gli ha permesso di parlare a una parte della pancia degli elettori» osserva Marini. In attesa di conoscere i flussi elettorali di questa due giorni, l’analisi degli esperti rintraccia «diverse analogie tra la Lega degli esordi e Grillo. Il Movimento Cinque Stelle è esploso nel Nord perché ha intercettato figure sociali trasversali: non solo giovani e non collocati politicamente, ma anche il ceto produttivo». Come all’inizio degli anni Novanta, la rabbia contro la politica ha pesato tantissimo. Ma stavolta, il vento non soffiava nei gonfaloni del Carroccio.