Il negoziato. Ma in Libia la stabilità resta un miraggio
Tra polemiche e incertezze, la Conferenza di Palermo si chiude senza risultati eclatanti per il Paese, ma alcuni passi avanti almeno sulla strada del dialogo tra tutti gli attori regionali e internazionali sono stati compiuti. Anzitutto sul versante politico. Come previsto dal piano elaborato dall’inviato Onu per la Libia, Ghassam Salamè, si terrà a gennaio la Conferenza nazionale in Libia, preludio alle elezioni politiche di primavera. Poi l’uomo forte della Cirenaica Haftar si è impegnato a lasciare in sella il presidente al-Serraj con il quale c’è stata una stretta di mano sigillata dal premier Conte. Altro punto l’appoggio – sempre verbale – delle fazioni libiche al piano elaborato da Salamè che prevede la stabilizzazione politica, ma anche quella finanziaria ed economica con l’unificazione delle due banche centrali che operano nel Paese dal 2014 e la possibilità di unificare anche i due enti petroliferi. È infatti la partizione degli enti petroliferi e delle banche centrali secondo Salamè la causa dell’impoverimento del Paese che viveva dei proventi dell’oro nero fino ai tempi di Gheddafi mentre oggi la ricchezza è sparita e prosperano traffici e corruzione. Il piano prevede infine la creazione di una forza militare unificata almeno a Tripoli.
Ma il nodo vero emerge da un episodio chiave. Liquidata infatti come normale tensione, non va infatti sottovalutato l’abbandono della Conferenza da parte della delegazione turca non invitata al minivertice di ieri mattina con Serraj, Haftar, i presidenti di Algeria, Tunisia, Egitto, e i leader di Ue, Parigi e Mosca. La frattura mostra che uno dei principali ostacoli sul cammino di pace non è stato rimosso. È lo stesso Haftar, che si conferma figura divisiva e autoritaria. Se infatti la Tripolitania e l’ovest libico sono frammentati, la Cirenaica è saldamente nelle sue mani. Così il generale può permettersi con arroganza di rafforzare a Palermo il rivale presidente del Governo di accordo nazionale, Fayez al-Serraj dicendo con una metafora beduina che non si cambia il cavaliere mentre il cavallo guada ii fiume. Ma non si sa che ruolo vorrà giocare nel futuro del Paese.
EDITORIALE Avanti comunque di Riccardo Redaelli
Ma Salamè si è dichiarato ottimista e vede ancora ragionevoli possibilità di successo sia della Conferenza di gennaio che delle elezioni. «Haftar è al corrente – ha dichiarato – del piano Onu e si è impegnato a sostenerlo». E riferendosi al tira e molla del generale la cui presenza fino all’ultimo è stata in dubbio e che non ha partecipato con al Sisi alla foto di gruppo, ha dichiarato che quanto accaduto non costituisce un ostacolo verso il processo politico nel quadro disegnato dall’Onu.
Per il professore libanese, tornato da un mese a Tripoli dopo gli scontri, l’unificazione della banca centrale sarà il prossimo passo insieme al consolidamento del 'cessate il fuoco' a Tripoli e poi in altre città. Salamè ha ringraziato il governo di Roma facendo riferimento al progetto comune di restituzione della sovranità al popolo libico e al sostegno internazionale incassato in Sicilia al suo piano. C’è un sostegno al piano delle Nazioni Unite, grazie a «un’azione nel campo politico, della sicurezza e dell’economia e ho anche ascoltato e visto un livello di convivialità superiore tra gli attori libici. Il popolo libico merita una vita che sia molto migliore di quella che sta vivendo adesso» ha affermato.
Ultimo nodo, ma non per importanza, il problema migratorio. Per Conte, che ha chiarito come il tema non fosse in agenda nel vertice, la stabilizzazione politica porterà alla soluzione del problema dei flussi. Tesi condivisa dall’uomo del Palazzo di vetro. «I migranti illegali che si trovano nei centri di detenzione in Libia sono migliaia e migliaia – ha detto Salamè –. E sono 700mila i migranti illegali in territorio libico. Quindi quelli che sono nei centri di detenzione sono una piccola minoranza rispetto a un gruppo molto più ampio. Ma quando l’economia si riprenderà avrà bisogno della manodopera straniera ». Intanto nei lager dei trafficanti e nei centri di detenzione la situazione si fa sempre più insostenibile e il mercato di carne non accenna a diminuire.