L'incidente mortale. Luana, cosa sappiamo un anno dopo
Il murale di Luana all'esterno della fabbrica Snia Viscosa
Un anno dopo il dolore è lo stesso, mentre il quadro indiziario è più chiaro. Il 3 maggio 2021 moriva Luana D’Orazio, 22enne apprendista operaia, madre di un bambino che oggi ha sei anni. Era stata intrappolata in un orditoio, a cui erano stati disattivati i sistemi di sicurezza. L’incidente avvenne in un’azienda tessile di Montemurlo, in un territorio funestato da altri due incidenti mortali sul lavoro nel 2021: Sabri Jaballah, anche lui 22 anni, schiacciato nella pressa di una filatura a Montale, nel Pistoiese, e Giuseppe Siino, 48 anni, risucchiato all’interno di un macchinario a rulli in una ditta di Campi Bisenzio, nell’hinterland fiorentino.
Per la morte di Luana D’Orazio è iniziata al Tribunale di Prato l’udienza preliminare a carico dei tre indagati, che devono rispondere di omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele anti-infortunistiche: l’imprenditrice Luana Coppini, il marito Daniele Faggi, ritenuto dagli inquirenti co-titolare di fatto, e Mario Cusimano, tecnico manutentore esterno dei macchinari.
Secondo l’inchiesta della Procura, che si è avvalsa di una perizia ingegneristica, il macchinario era stato manomesso: un <+CORSIV50R>bypass<+TOND50R> elettrico avrebbe disattivato il blocco che impedisce all’orditoio di girare ad alta velocità senza i necessari cancelli protettivi abbassati. La stessa manomissione – che secondo le quantificazioni della Guardia di Finanza non avrebbe prodotto un particolare aumento di produttività, né dunque apprezzabili profitti economici – è stata ravvisata in un secondo orditoio da campionatura gemello, posto accanto a quello in cui ha perso la vita Luana. Altri accertamenti sull’incidente, la cui ricostruzione non può avvalersi di riprese video né testimoni oculari, hanno riguardato l’idoneità dell’abbigliamento "anti-incaglio". La 22enne, che non indossava divise aziendali, potrebbe essere rimasta impigliata con la propria maglia al macchinario e trascinata all’interno di un vano angusto a ridosso del subbio in rotazione.
«Sarei contenta se mettessero le telecamere sul posto di lavoro, per avere più controlli e vedere cosa accade» ha detto Emma Marrazzo, madre di Luana, che in occasione del Primo Maggio e dell’anniversario della morte della figlia, è tornata a parlare delle tutele mancanti sui luoghi di lavoro. «Servono maggiori controlli a sorpresa e una maggiore formazione, soprattutto pratica, per chi, come mia figlia, è solo un apprendista. Sono morti che si possono evitare – ha detto Emma Marrazzo –. Morti violente come in una guerra», solo che l’arma che viene usata è la mancanza di «buon senso, cuore, è la disumanità». Da parte loro, i legali delle persone accusate hanno ribadito l’impegno a voler risarcire i danni, anche se i familiari di Luana ritengono insufficiente l’offerta da 1,1 milioni ricevuta dall’assicurazione della ditta.
Secondo l’avvocato Alberto Rocca che, assieme ai colleghi Barbara Mercuri e Gabriele Capetta difende la titolare dell’orditura e il marito, «Luana Coppini si è assunta le proprie responsabilità parlando ai magistrati e dicendo loro che avrebbe dovuto accorgersi delle modifiche apportate al macchinario, ma non è stata lei né a realizzare, né a commissionare la manomissione».
Il percorso giudiziario è solo agli inizi e, nel frattempo, la vicenda di Luana è diventata un simbolo, suo malgrado, della lotta per la sicurezza sul lavoro, che vede soprattutto giovani e lavoratori in nero come anelli deboli della catena produttiva.