Lo sciopero per i rider / 4. «La nostra Carta è un modello di tutela»
Bologna è stata la prima città in Italia a dotarsi della 'Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano'. Una conquista nata a dicembre 2017 quando, dopo un’imponente nevicata, alcuni riders riuniti sotto la sigla 'Riders Union Bologna' appesero, per protesta, le biciclette all'albero di Natale di Piazza Maggiore. L’assessore al Lavoro Marco Lombardo li ascoltò in Consiglio comunale, dando il via al percorso che ha portato alla stesura della 'Carta di Bologna', con le tutele minime in termini di retribuzione, sicurezza e legittimità dei controlli a distanza.
Assessore Lombardo, cosa pensa dell’inchiesta aperta dalla Procura di Milano?
Non mi stupisce. La recente ricerca della Statale di Milano stima che nel capoluogo lombardo i riders stranieri siano il 65%. I numeri di Bologna sono inferiori, ma anche nella nostra città non è da escludere che il fenomeno sia dovuto a un 'subappalto' degli account. Si tratta di una 'guerra fra poveri', in cui, a subire le conseguenze, sono lavoratori stranieri che faticano a comprendere i loro diritti. Sappiamo che le piattaforme che non hanno sottoscritto la Carta di Bologna sono proprio quelle che hanno la componente maggiore di lavoratori stranieri. Dobbiamo evitare che ci sia segregazione occupazionale, dunque ben venga questa indagine. Ci auguriamo che serva a lanciare il tema della Carta a livello nazionale, perché sia adottata in ogni città.
Condivide lo sciopero dei consumatori proposto da Avvenire?
Certo, la comunità è con noi in questa battaglia. A Bologna abbiamo fatto il primo sciopero il 16 dicembre 2018. In applicazione dell’articolo 4 della Carta decidemmo, in accordo con i riders e le piattaforme Sgnam e MyMenu, di invitare i cittadini bolognesi a non ordinare cibo online, perché nevicava. Il servizio fu sospeso, infatti l’adesione dei clienti fu altissima. Capirono che la pizza poteva attendere: venivano prima la salute e la sicurezza dei lavoratori. I cittadini cominciarono a condividere sui social le foto dei piatti preparati in casa da loro: sappiamo dunque che lo sciopero può funzionare e generare consapevolezza.
Quali soluzioni vede per tutelare queste figure professionali, evitando che la Gig economy determini una 'fuga dalla subordinazione' e dai diritti ad essa collegati, ma salvandone gli aspetti positivi?
Ne vedo due. Ci si potrebbe muovere in via legislativa o attraverso una modifica del decreto legislativo 81/2015 (articolo 2) in modo da ricomprendere i riders nelle collaborazioni eterorganizzate a cui si applicano le tutele della subordinazione; oppure estendere le tutele minime previste dalla Carta di Bologna a prescindere dalla qualificazione del rapporto giuridico. Essere favorevoli alla crescita dell’economia digitale non significa abdicare alla tutela e alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Squarciare il velo di ignoranza sulle condizioni dei riders significa rendere visibile il pericolo di ingiustizia sociale che si annida nella Gig economy.