Attualità

POLITICA E DIRITTO. La Consulta: il lodo Alfano è illegittimo

Danilo Paolini giovedì 8 ottobre 2009
Il Lodo Alfano doveva essere inserito in una legge costituzionale: così com’è, invece, viola il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, sancito dall’articolo 3 della Costituzione. È perciò illegittima la sospensione dei processi penali a carico delle prime quattro cariche dello Stato, stabilita con la legge ordinaria numero 124 del 2008. Nella sostanza, significa che da oggi possono ripartire i tre processi in cui è coinvolto Silvio Berlusconi (ne riferiamo a parte in questa pagina) mentre un altro procedimento, conosciuto come Mediatrade, è prossimo alla chiusura delle indagini. Forse neanche il più pessimista dei quattro avvocati del premier (tre difendevano il cittadino imputato, l’Avvocatura dello Stato rappresentava la Presidenza del Consiglio) poteva immaginare un verdetto più sfavorevole da parte della Corte costituzionale.Dopo mesi di aspre polemiche politiche e circa 8 ore di camera di consiglio, alle 18 di ieri sono usciti sulla ruota della Consulta i numeri peggiori per il Cavaliere: il già citato 3 e il 138, ovvero l’articolo della Costituzione che disciplina il processo di revisione della stessa Carta fondamentale e la formazione delle leggi costituzionali. La Corte, si legge infatti nel comunicato ufficiale, «ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge 23 luglio 2008, n.124, per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione». Vale la pena ricordare che il Lodo Alfano era composto da un solo articolo, suddiviso in 8 commi. La bocciatura è totale, quindi.Se l’attuale maggioranza volesse varare di nuovo uno "scudo penale" per le maggiori cariche dello Stato (ipotesi per altro già esclusa dal ministro della Giustizia) dovrebbe perciò farlo con legge costituzionale, vale a dire con due deliberazioni per ciascuna Camera «ad intervallo non minore di tre mesi» e «a maggioranza assoluta» nella seconda votazione. Ma se, nella seconda votazione, la maggioranza non raggiungesse i due terzi dei componenti di ciascun ramo del Parlamento, la legge potrebbe essere sottoposta a referendum popolare. Insomma, i tempi si allungherebbero. I processi di Milano, intanto, andranno avanti.La decisione è stata presa a maggioranza dai 15 giudici della Consulta: alcune indiscrezioni parlano di un risultato di 9 voti per l’illegittimità contro 6, ma il presidente del Consiglio ha parlato ieri sera di «undici giudici» contrari al Lodo. Voci non verificabili, in ogni caso, perché l’esito dello scrutinio è segreto. Si può affermare con certezza, invece, che la Corte ha accolto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla prima e dalla decima sezione del tribunale di Milano, nell’ambito dei processi Mills e diritti Mediaset, mentre ha dichiarato «inammissibili» quelle poste dal gip del tribunale di Roma Orlando Villoni, che si occupa di un presunto tentativo di «compravendita» di senatori da parte di Berlusconi (allora a capo dell’opposizione) durante la scorsa legislatura, alla vigilia del voto di una Finanziaria.«Quello che avevo da dire sul Lodo Alfano e sul perché del mio ricorso l’ho scritto nell’ordinanza», si è limitato a dire Villoni dopo la decisione della Consulta. Chi invece ha molto da dire è Niccolò Ghedini, che insieme ai colleghi Piero Longo e Gaetano Pecorella ha rappresentato il capo del governo nel giudizio davanti alla Consulta. «Con questa sentenza la Corte costituzionale rinnega addirittura i principi da lei stessa già enunciati – ha sostenuto l’avvocato e deputato del Pdl –. Con questa decisione si pretende, contro la volontà popolare, che il presidente del Consiglio, anziché occuparsi dei problemi nazionali e internazionali, sia costretto quotidianamente a seguire evanescenti processi». Comunque, ha concluso Ghedini, «riprenderemo quei processi nella consapevolezza che con un giudice super partes sarà certamente riconosciuta l’estraneità di Silvio Berlusconi da qualsiasi ipotesi di reato».Analoga la valutazione di Pecorella: «La Corte costituzionale, e questo non può non sorprenderci, ha smentito se stessa, perché nella sentenza del 2004 sul Lodo Schifani aveva evidenziato alcuni aspetti d’incostituzionalità, ma il provvedimento rientrava nelle norme ordinarie sul processo penale. Se ci voleva una legge costituzionale – ha osservato – bastava sottolinearlo allora e il Parlamento avrebbe provveduto».In effetti, nella sentenza numero 24 del 20 gennaio 2004, scritta dall’attuale presidente della Consulta Francesco Amirante, relativa al cosiddetto Lodo Schifani (la legge 140 del 2003, che metteva al riparo da procedimenti penali le cinque più alte cariche dello Stato), il "giudice delle leggi" riconosceva al Parlamento la facoltà di stabilire sospensioni di processi «finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali» e, tra queste, citava «l’assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche» come «un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto».Alla fine, il Lodo Schifani venne giudicato non conforme agli articoli 3 («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali») e 24 («Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» e «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento») della Costituzione. Ma la Consulta non affermò la riserva di legge costituzionale (articolo 138), come invece ha fatto per il Lodo Alfano.«C’erano altri giudici, forse altre opinioni», ha ipotizzato il presidente emerito della Corte Annibale Marini, che nel 2004 c’era, senza nascondere di «non condividere, in linea di principio» la sentenza di ieri e di attenderne le motivazioni con una buona dose di curiosità.