Il teologo. . Catania, l'obiezione di coscienza non c'entra
«Il fascicolo d’inchiesta è stato attivato, come atto dovuto, dopo la denuncia dei familiari della donna che nella loro ricostruzione dei fatti parlano di un medico che si sarebbe rifiutato di estrarre i due feti, quando sono entrati in crisi respiratoria, perché obiettore di coscienza...» Per 24 ore, questa è stata la spiegazione data dalle agenzie di stampa per la morte di Valentina Milluzzo e dei suoi due gemelli, all’ospedale Cannizzaro di Catania. Ieri mattina si è scoperto che l’obiezione di coscienza non c’entrava nulla. In Italia c’è aria di caccia all’obiettore? Per prima cosa voglio esprimere il massimo rispetto per il dolore della famiglia Milluzzo – risponde monsignor Mauro Cozzoli, ordinario di bioetica alla Pontificia Università Lateranense – e il desiderio che sia fatta luce sulla causa di questa tragedia, perché amare la vita significa fare di tutto per salvarla. Questa è la posizione dei cattolici e anche dei medici obiettori, che una campagna culturale e mediatica ha trasformato in un bersaglio facile, inducendo nel Paese un’opinione purtroppo diffusa che, quando si verifica una tragedia, ci “deve essere” lo zampino di un obiettore di coscienza. Lo dimostra la tendenza alla denuncia terapeutica, specialmente di fronte ad esiti infausti che compromettano giovani vite, e il focalizzarsi nella ricerca di obiettori di coscienza sui quali buttare la croce.
Con quale obiettivo?Non so se sia l’obiettivo di chi denuncia, ma è un fatto che allorquando il caso di malasanità ha risvolti bioetici, in quanto chiama in causa la Chiesa e i suoi fedeli, sia maggiore l’attenzione dei media. Non credo che si “cerchi” quest’attenzione, ma una famiglia sconvolta dal dolore è facile preda di un teorema che, conducendo in fretta ad un capro espiatorio, sembra risolvere tutto, alleviando quel dolore. Al di sotto, lavora un pregiudizio sociale.
L’obiezione di coscienza è impopolare? Non piace all’establishment culturale di questo Paese.
E a quello sanitario? Spero che non vi sia un pregiudizio verso i medici obiettori e che siano valutati in base alla loro professionalità, come prescrivono le leggi, e la Costituzione.
La legge 194 dice che l’obiezione di coscienza non può essere invocata nel caso in cui il «personale intervento» del sanitario è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. Era il caso di Valentina Milluzzo? Così pare. Ovviamente abbiamo una conoscenza parziale dei fatti, ma possiamo certo dire che, se il medico obiettore di coscienza dell’ospedale Cannizzaro non si fosse adoperato per soccorrerla, quel medico sarebbe colpevole di omissione di cura, in quanto non si sarebbe tratta- to di interrompere una gravidanza ma di prestare un soccorso terapeutico. In tal caso, l’obiezione di coscienza non c’entra nulla: si trattava di un atto curativo, sottrarsi al quale era moralmente riprovevole, tanto più in situazione di grave emergenza. Ma le cose non sembrano essere andate in questo modo. Da quanto dichiarato dal direttore generale dell’ospedale e dai primi esami sulla cartella clinica analizzati dalla Procura di Catania, non risulta che il medico si sia dichiarato obiettore di coscienza e che si sia per questo rifiutato. È accertato che i due feti sono nati morti: il loro aborto è stato involontario e perciò moralmente irrilevante. Come precisa il direttore generale, nel caso di Valentina è intervenuto uno choc settico e la situazione è precipitata. Il che discolpa il medico obiettore, se è effettivamente intervenuto ponendo in atto tutte le cure del caso, nonostante le quali prima i feti e poi la donna sono deceduti.
Cerchiamo di essere ancora più chiari: se una partoriente rischia la vita, un medico obiettore di coscienza può o non può praticare un’interruzione di gravidanza? Il medico obiettore deve curare quella donna con l’obiettivo di salvarla. Non può utilizzare l’aborto né come fine delle cure né come mezzo, ma se l’aborto è una conseguenza delle cure, che si ritengono indispensabili e indilazionabili per salvare quella donna, non c’è obiezione che tenga. Deve praticare quelle terapie, anche se sa che porteranno alla morte del feto. La differenza è sottile, ma c’è e non a caso esistono i comitati di bioetica per valutare tutti i casi possibili. Il discrimine è tra aborto volontario e diretto da un lato – che non è accettabile e che l’obiettore non pratica – e aborto involontario e indiretto, che non è sanzionabile sul piano dell’etica cristiana.