Abolire la "modica quantità"? Perché no. Le comunità: «Prima di punire, si educhi»
Ritornare al passato. A quando, cioè, l’Italia si divideva sul limite della cosiddetta “modica quantità” di droga che differenzierebbe – sulla carta, in base ai grammi – chi consuma da chi spaccia. Chi sta fuori da chi finisce dentro. Di passi, a dire il vero, ne sono stati fatti pochi dagli anni Settanta al 2014, quando i quantitativi “possibili” di detenzione sono stati (infine) fissati in una tabella. Settimana scorsa il ministro della Famiglia con delega alle politiche antidroga, il leghista Lorenzo Fontana, è tornato a parlare di “modica quantità”, alludendo alla possibilità di ridefinire i limiti previsti: «In tutto questo tempo l’attenzione è rimasta concentrata sull’aspetto superficiale della questione, sulla droga come mero problema legale e giudiziario. Posso dire: che banalità?».
Riccardo De Facci è diventato presidente del Coordinamento delle comunità di accoglienza (Cnca)
lo scorso dicembre, dopo vent’anni in prima linea sul fronte delle dipendenze, in particolare tra giovani e minori. E Cnca è la più grande associazione in Italia per comunità terapeutiche rappresentate (300) e per operatori impegnati sul campo (15mila) da Nord a Sud.
Parliamo di “modica quantità”. Che ne pensa della proposta del ministro?
Penso che si continua a trascinare un dibattito inutile e sterile, guardando il dito invece che la luna. Torniamo a parlare di una tabella pseudoscientifica che vuole risolvere un problema che è soprattutto legale e giudiziario. Quando parliamo di “modica quantità” ci fermiamo alla superficie della questione droga. Ai grammi, invece che al significato. Il rischio, che abbiamo visto concretizzato con la legge Fini-Giovanardi (approvata nel 2006 e dichiarata incostituzionale nel 2014, ndr), è che in galera finiscano persone che non guardiamo nemmeno in faccia, magari qualche ragazzo stupidotto che portava con sé la droga sua e quella degli altri compagni di scuola. Il punto è che così si banalizza tutto: il carcere non risponde alla droga, non ci dice che uso ne fa chi la consuma, e perché. Non cura, non guarisce, non cambia le persone.
Cosa serve a chi consuma droga?
Non il carcere. O meglio, il carcere nel caso degli spacciatori, certo, che la legge così com’è ci consente già di individuare alla perfezione. Ma al consumatore di droga non serve il carcere, serve il Serd o un operatore del privato sociale. Il problema non è quale tipo di sostanza usa in base a una tabella, ma che persona è, come e quando la usa, quando ha cominciato e perché. E l’ansia dello Stato, del ministro, non dovrebbe essere quella di punire, ma di capire e di educare.
Si è parlato molto di queste tabelle, negli ultimi giorni. Molti sostengono siano del tutto superate...
È così. Le tabelle ministeriali mescolano sostanze diverse tra loro – dalla cannabis all’eroina e alle metanfetamine – senza tenere assolutamente in conto come il mondo delle droghe sia cambiato negli ultimi dieci anni. Oggi contiamo su oltre 60 sostanze chimiche similcannabinoidi in vendita e tranquillamente reperibili online, l’Osservatorio europeo negli ultimi anni ha individuato tra i 630 e i 650 nuovi acidi. Eppure, dal 2000 in avanti, in Italia, noi c’è un aggiornamento del quadro delle droghe, così come non c’è un confronto serio tra pubblico e privato, tra consumatori e genitori, tra scuola e territorio. Di più, e più grave: non abbiamo un Piano nazionale di prevenzione condiviso, non abbiamo nemmeno un dato certo e condiviso su che efficacia abbiano le comunità e gli stessi Serd nell’approccio terapeutico.
Ci si muove in ordine sparso, insomma.
Non ci si muove affatto. Siamo fermi. Ma la droga non si ferma, anzi. Il consumo è in aumento, le sostanze sono in aumento, le vittime aumentano (penso alla lunga lista di ragazze che abbiamo visto elencate dai giornali, negli ultimi mesi). Si stanno ricreando le grandi piazze dello spaccio: a Milano, in quella che soltanto i media sembrano aver individuato come vera emergenza, ci sono 1.000 persone tossicodipendenti che passano ogni giorno da Rogoredo.
Cosa chiedete, come comunità?
Un luogo di confronto, subito. Una Conferenza nazionale sulla droga, che in Italia manca da 11 anni. L’istituzione della Consulta sulle dipendenze, cioè un tavolo governativo permanente (e previsto dalla legge 309) in cui rappresentanti del pubblico, del privato e della sanità si incontrino per confrontarsi, aggiornarsi e affrontare la ferita della droga con risposte efficaci e concrete.