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Puglisi. Chiara Colosimo: «Lo Stato accanto ai sacerdoti in trincea»

Vincenzo R. Spagnolo venerdì 15 settembre 2023

Chiara Colosimo

Chiara Colosimo: «Padre Puglisi contrastava le cosche col welfare del bene, è un esempio da seguire»
«Servono più agenti sul territorio: ogni millimetro tolto ai clan è un km per i cittadini», dice l’esponente di Fdi, e «non c’è niente di peggio di un politico indagato per mafia». L’organismo bicamerale ha approvato una relazione in ricordo del parroco di Brancaccio «Il nostro vuole essere un omaggio alla memoria dell’uomo di fede che ha combattuto la mafia utilizzando l’arma che la criminalità teme di più: il riscatto sociale...». Così la presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo (Fdi) precisa le motivazioni che hanno spinto i membri dell’organismo bicamerale ad approvare all’unanimità, in occasione del trentennale dell’uccisione del sacerdote siciliano, una relazione che contiene le sentenze di condanna di esecutori e mandanti dell’omicidio, ma anche il ricordo della sua figura attraverso le parole di papa Francesco. Il ritratto di un mite e coraggioso «prete di trincea», che aveva a cuore gli ultimi: « Padre Pino Puglisi non ha avuto paura di utilizzare il welfare del bene contro quello del male - considera Colosimo -. Ha cercato di dare a Brancaccio le risposte che potevano togliere dalle mani dei clan le nuove generazioni, con una semplicità disarmante e la speranza che si addice a chi crede, ma non si arrende. Sono passati trent’anni dalla sua morte, ma il suo approccio è scolpito nelle coscienze di chi ogni giorno affronta il male».

Lei è stata a Tor Bella Monaca e a Caivano. Quali impressioni ha avuto?
Dove lo Stato arretra, la criminalità organizzata avanza. Lo si vede dal degrado e dalla mancanza di speranza, si percepisce la rassegnazione. Ma noi dobbiamo mutuare ai giorni nostri l’approccio di don Puglisi: offrire a giovani e adulti delle opportunità, insegnargli il rispetto, anche per le divise. Non riusciremo mai a sradicare la crimina-lità, se non ci porremo come obiettivo quello di creare percorsi vincenti e diversi rispetto a malaffare, delinquenza e droga. La malavita si alimenta dalle mancate risposte che uno Stato, invece, ha il dovere di dare.

In quei territori c’è l’impegno sociale di due sacerdoti coraggiosi, finiti sotto scorta. Lo Stato sta affiancando la loro azione di semina?
Parlo spesso con don Maurizio Patriciello e don Antonio Coluccia, mi confronto, cerco di capire e favorire le loro azioni, anche per far sentire forte la presenza delle istituzioni su battaglie che non solo vanno condivise, ma incoraggiate in qualsiasi parte si nasconda il male. Don Patriciello è la forza tranquilla di chi dopo aver visto morire troppi giovani del suo oratorio per mano della camorra, attraverso gli spari o i fuochi di quella terra, ha scelto di fare la sua parte per provare a salvarli. Don Coluccia, invece, ha scelto la missione della presenza fisica nelle piazze di spaccio della Capitale. Forse per troppo tempo il concetto di “zone franche” ha avuto la meglio, ma lo Stato sta dimostrando di avere la forza per contrastare qualsiasi mafia. Da questo bisogna ripartire: presenza sul territorio, scuole moderne e occupazione, anche attraverso la creazione di progetti speciali per favorire quel “riscatto sociale” che tutti aspettano.

Per gli spari a Caivano dopo la visita del governo, lei ha parlato di arroganza mafiosa. Per contrastarla, basteranno i blitz ad “alto impatto” e il piano di recupero di Parco Verde?
Nessuna forza criminale può e deve sfidare lo Stato. Bisogna far capire ai malavitosi che quel senso d’impunità è solo nella loro mente. Ed è necessario proseguire sulla strada già intrapresa dell’aumento di agenti sul territorio per sottrarre terreno alla malavita: ogni millimetro tolto a loro è un chilometro donato alla città.

Secondo la Dia, ‘ndrangheta, camorra, cosa nostra sono ormai holding criminali che si arricchiscono col narcotraffico.
Le narcomafie sono un fenomeno globale e vanno combattute con fermezza. Urge una risposta corale attraverso una legislazione internazionale, che impedisca in modo chirurgico scambi e flussi di denaro alimentati da proventi illeciti. Più le mafie si evolveranno, più saranno necessari nuovi strumenti investigativi. Come commissione, punteremo il faro su questo.

Anche in Puglia, specie nel Foggiano, la criminalità organizzata continua ad essere una minaccia... Abbiamo scelto Foggia come prima missione ufficiale della Commissione per dare un segnale di vicinanza a un territorio martoriato da una delinquenza sempre più feroce e sofisticata. Una mafia urbana, un tempo agropastorale, con faide familiari, vincoli di sangue e un controllo del territorio di tipo militare. Una realtà troppo spesso sottovalutata e dimenticata. La Quarta Mafia foggiana va affrontata e sconfitta, prima che diventi la prima.

Perché la politica non riesce a immunizzarsi dal contagio mafioso?

Non esiste niente di peggio di un politico che finisce in un’indagine per mafia. La commissione non tralascerà nulla che riguardi i suoi compiti. Quando la politica è forte, però, non ha bisogno di forme d’immunizzazione. Ha già dentro di sé gli anticorpi necessari per scacciare insidie e malaffare. E io credo ancora fortemente nella forza della politica.

Le mafie si infiltrano nella pubblica amministrazione. E diversi magistrati, compreso il procuratore nazionale antimafia Melillo, hanno espresso dubbi sulla cancellazione del reato di abuso d’ufficio. Pensa che tali valutazioni possano indurre la maggioranza a riflettere e a correggere il testo?

Secondo i dati pubblicati, l’abuso d’ufficio è un reato che difficilmente porta a condanne passate in giudicato. Certamente la corruzione è un cancro per la P.A. E le valutazioni che fa il procuratore Melillo, poi, sono frutto della sua esperienza. Ma, come avviene sempre nelle democrazie, sarà il Parlamento a decidere.