Calcio. Giovani di origini straniere, rebus tesseramento: «I nostri ragazzi esclusi»
Giovani calciatori su un campo
L’allarme è partito da una circolare della Lega Nazionale Dilettanti di cinque giorni fa che comunicava alle società le modifiche burocratiche ai principi dello “ius soli” sportivo introdotti nel 2016. Si tratta della riforma che eliminava molti ostacoli posti sulla strada della pratica sportiva dei figli degli immigrati ancora privi della cittadinanza italiana: la difficoltà di iscriversi dei ragazzi stranieri nati in Italia (visto che in molti casi era difficilissimo rinvenire nei Paesi di origine la documentazione necessaria), la discriminazione a partecipare alle gare individuali nazionali, i limiti alle convocazioni nelle Under azzurre prima dei 18 anni (quando è invece possibile ottenere la cittadinanza). Ora la circolare del 26 settembre ha seminato notevole apprensione: è successo che l’entrata in vigore a febbraio di quest’anno di un decreto legislativo del 2021 ha complicato nuovamente le procedure. Il nuovo decreto sulla carta è addirittura più favorevole ai minori, sancendo che «i minori di anni 18 che non sono cittadini italiani, anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, laddove siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, possono essere tesserati presso società o associazioni affiliate». Ma nella realtà il cambiamento sta generando cortocircuiti. Il Coni ha messo al lavoro i propri esperti legali per capire esattamente quali potranno essere le conseguenze per le singole Federazioni. La Figc si è subito mossa per porre rimedio al contenuto della prima circolare. La storia che raccontiamo qui di seguito mostra tutte le difficoltà del momento.
Ideata male e comunicata peggio, “l’abolizione” dello ius soli sportivo, oltre a creare disagi a diverse società (e, di conseguenza, a diverse famiglie), genera amarezza, sfiducia e delusione in diverse realtà che utilizzano lo sport per creare un ambiente integrato e inclusivo, associazioni dilettantistiche che sono veri e propri presidi sociali in contesti urbani nei quali l’immigrazione è un fenomeno statisticamente molto più rilevante che in altri. Come nel caso del Progetto Aurora di Reggio Emilia, società che dal 2008 porta avanti, nei quartieri Santa Croce e nelle frazioni di Gavassa e San Prospero Strinati, una scuola calcio che oggi conta circa 300 bambini dai 5 ai 16 anni, il 55% dei quali figli di immigrati, una percentuale che si spiega facilmente con la composizione dei nuclei familiari residenti in quell’area della città. «Noi facciamo accoglienza, è nelle nostre corde – racconta Gianni Salsi, presidente della società – perché siamo un’associazione che nasce da un oratorio salesiano il quale, negli anni Novanta con don Vittorio Chiari, sosteneva le squadre di queste tre parrocchie. Non abbiamo mai avuto problemi di immigrazione nelle nostre squadre, viviamo in una zona della città nella quale le famiglie di origine straniera sono molte e fanno parte della nostra quotidianità. Tanti uomini e donne migranti hanno un lavoro, alcuni sono diventati anche cittadini italiani, gran parte hanno i figli nati in Italia e che hanno sempre frequentato le scuole qui. Fino ai bambini di dieci anni le nostre formazioni giocano i tornei del Csi, dagli undici in avanti, dalla categoria Esordienti, le squadre vengono inserite nei campionati Figc».
La classe 2013 del Progetto Aurora, la società calcistica reggiana del presidente Gianni Salsi - Foto Progetto Aurora
Qui la pessima sorpresa: «Una manciata di giorni fa, quando mi sono trovato a inviare le richieste di tesseramento per 15 bambini di undici anni, me ne sono viste respingere otto a causa di questo cambio di norme. Di fatto, il tesseramento federale per quei bambini diventa oggi più complicato, costringe le famiglie a produrre nuovi documenti e attendere un lungo iter che, sino a poco tempo fa, era stato superato. Mi chiedo: ma che rispetto si ha per le persone? Possibile che bambini nati qui e perfettamente integrati nel sistema reggiano, così come le loro famiglie, per quanto privi di cittadinanza italiana, debbano venire considerati in questo caso quasi come chi è sbarcato a Lampedusa da pochi mesi? Si trattano in maniera subdola le famiglie integrate, costringendo i bambini a farne le spese».
Salsi conosce bene ciò di cui parla. «La normativa sul primo tesseramento dei minori extracomunitari provenienti dall’estero è giusta, perché nata a suo tempo dall’esigenza di non permettere il fenomeno della tratta dei baby calciatori. Ogni anno avevo 2-3 ragazzi su 300 da tesserare seguendo quell’iter, e non era un problema. Ma tornare indietro sullo ius soli sportivo per chi è nato in Italia è una pazzia». Una pazzia alla quale Salsi ha scelto di reagire, ma non ha voluto lasciare i ragazzi senza calcio: «Abbiamo ritirato la squadra Esordienti dal campionato Figc che avremmo dovuto disputare, anche perché si gioca a 9 e, con quei rifiuti, non avevamo neppure il numero minimo di giocatori per scendere in campo. Abbiamo chiesto ospitalità al Csi che, pur avendo già iniziato il campionato, ci ha accolto volentieri. Ora tessereremo i bambini per poter dar loro la possibilità di giocare in Figc almeno con il campionato primaverile». Ma questo passo indietro resta una ferita dolorosa per chi, nella sua missione, ha l’integrazione attraverso il linguaggio più comune, quello del calcio dei più piccoli.