Attualità

BATTAGLIA DI CIVILTA'. «L’Italia mi aiuti o sarò lapidata»

Viviana Daloiso mercoledì 17 agosto 2011
«Salvate la mia vita». Tre parole su un foglio stropicciato, a riassumere un appello di una manciata di righe giunto una decina di giorni fa sulla scrivania del Movimento Diritti Civili dal carcere di Castrovillari, in Calabria.Il dramma di Kate Omoregbe, classe 1977, è iniziato dieci anni fa. Quando, poco più che ventiquattrenne, è dovuta fuggire dalla sua Nigeria per sottrarsi a un matrimonio combinato e alla conversione forzata dal cristianesimo all’islam. Coraggiosa, Kate, con il sogno dell’amore vero nel cuore e la fede più forte di tutto, anche dell’affetto per i propri cari: dall’Africa s’è incamminata sola lungo le vie dei viaggi della disperazione e – chissà a quale prezzo – è riuscita ad arrivare in Italia. Qui s’è integrata, ha trovato lavoro, alla fine è persino riuscita a ottenere un regolare permesso di soggiorno. Senza però esser capace di cancellare quel distacco violento dalla sua terra, quella paura, che nel corso del tempo l’hanno logorata e convinta a trovare rifugio nella droga. Così nel 2007 Kate è stata arrestata per uso di sostanze stupefacenti e condannata a scontare quatto anni di carcere a Castrovillari, in Calabria.Una «punizione giusta», scrive la giovane donna nella lettera indirizzata al presidente dell’associazione, Franco Corbelli, «che meritavo per l’errore che ho commesso». E che tuttavia ora rischia di concludersi con la morte di Kate, stritolata tra le intransigenze di due leggi: quella (inaudita) nigeriana, secondo cui la donna che rifiuta un matrimonio e la conversione merita d’essere lapidata, oppure sfigurata con l’acido; e quella della legge italiana, secondo cui una condanna impedisce il rinnovo del permesso di soggiorno e comporta l’immediata espulsione di un immigrato. Provvedimento cui Kate potrebbe essere sottoposta già ai primi di settembre, visto che per buona condotta la donna ha ottenuto uno sconto della pena.«Sono fuggita dal mio Paese – scrive ancora la giovane detenuta nigeriana a Corbelli – per non sposare una persona molto più grande di me, che non amo, e per la mia contrarietà a cambiare religione, io che mi sento cristiana e voglio restare cristiana. Ma per le regole, quelle scritte e quelle non scritte del mio Paese, dove predomina l’influenza della religione musulmana, questo equivale ad un oltraggio che si paga con il patibolo e la morte». Una fine che il Movimento Diritti Civili, appoggiato dalla direzione del carcere e dal presidente della Provincia di Cosenza, Mario Oliverio, si sono attivati da subito per scongiurare, ottenendo l’ufficializzazione della richiesta d’asilo dalla Questura di Cosenza. E che è anche arrivata sul tavolo del governo grazie a due interrogazioni parlamentari distinte e bipartisan: una presentata al ministro degli Interni, Roberto Maroni, da tredici senatori (tra cui Franco Bruno, Francesco Rutelli, Emanuela Baio, Gianpiero D’Alia), l’altra firmata dal senatore e sottosegretario all’Economia Antonio Gentile e rivolta sempre a Maroni e al ministro e della Giustizia Francesco Nitto Palma. Tutti uniti nel chiedere un atto umanitario per evitare l’espulsione di Kate e accontentare la sua richiesta: «Vorrei tanto ricominciare a vivere senza paura di essere uccisa, da donna libera in uno Stato libero».