Libia. L'Onu chiude il centro per migranti di Tripoli a causa della guerra
La foto diffusa dall'Acnur - Unhcr
La tregua annunciata alla Conferenza di Berlino non è mai realmente entrata in vigore. Sono state 110 le violazioni del cessate il fuoco rilevate dalla Missione di supporto delle Nazioni unite (Unsmil). Un dato che da solo spiega perché ieri l’Acnur-Unhcr abbia deciso di chiudere le operazioni umanitarie a Tripoli. Mentre in Italia infuria la polemica sulla proroga dell’intesa con il governo della capitale e la procura di Agrigento scrive: «La Guardia costiera libica è coordinata dalla Marina italiana».
L’inviato dell’Onu in Libia, Ghassan Salamé, ha detto al Consiglio di Sicurezza che ci sono stati «rinforzi militari» verso entrambi le parti, le forze del generale Khalifa Haftar e quelle di Fayed al-Sarraj, capo del governo di accordo nazionale (Gna). «Rischiano di aumentare lo spettro di un conflitto ampio che coinvolge l’intera regione», ha avvertito. In particolare, ha indicato il rafforzamento delle linee del fronte a Tripoli delle forze di Haftar con «armi, equipaggiamenti, fanteria, inclusi i combattenti stranieri». Allo stesso tempo «combattenti stranieri – ha rimarcato – arrivano a migliaia a Tripoli e si schierano con le forze libiche», sostenendo il Gna. Circostanze denunciate anche dagli alleati dei fronti contrapposti, con la Francia che ha segnalato l’arrivo di navi turche con uomini e armi per al-Serraj. Nei giorni scorsi sono stati documentati anche diversi casi di migranti comprati dalle milizie. Ai malcapitati viene offerta, in alternativa ai campi di prigionia, la possibilità di combattere per una delle fazioni.
Il rispetto dei diritti umani, però, non sembra una priorità. Al contrario delle risorse energetiche. Un bollettino diffuso dalla Noc, la compagnia petrolifera nazionale libica, spiega che il blocco imposto dalle forze del generale Khalifa Haftar ha causato un calo della produzione di petrolio da oltre 1,2 milioni a 288 mila barili al giorno, per una perdita economica di circa 562,3 milioni di dollari. Incertezze che hanno costretto Unhcr-Acnur a chiudere il centro Onu di transito per i migranti a causa dell’espansione degli scontri, con militari che si stanno ammassando proprio a ridosso della struttura Onu che potrebbe venire presa tra due fuochi.
Davanti alla Commissione Esteri del Senato, il ministro Luigi Di Maio ha confermato che dal 2 febbraio il memorandum d’intesa tra Italia e Libia verrà prorogato, al momento senza modifiche. «La Farnesina – ha aggiunto – ha concluso il lavoro istruttorio e nei prossimi giorni avvieremo il dialogo con il governo Serraj». Anche per queste ragioni la proroga dell’intesa tra Tripoli e Roma ha suscitato le proteste delle organizzazioni umanitarie.
«Si continuerà – lamenta la campagna "Io Accolgo" – a finanziare la cosiddetta guardia costiera libica, per lo più formata da quegli stessi trafficanti che si dice di voler fermare».
Per Filippo Miraglia, di Arci e coordinatore del Tavolo Asilo che raduna una cinquantina di associazioni, «il Memorandum è stato scritto per interessi italiani, interessi elettorali, con l’obiettivo di bloccare le fughe delle persone che venivano e vengono tutt’ora detenute, torturate, stuprate e ricattate dalle milizie libiche». E l’Ong Intersos, che in Libia è presente, chiede lo stop all’intesa «interrompendo i finanziamenti alla Guardia costiera libica e ai centri di detenzione, operando per la loro chiusura, e garantendo protezione e tutela dei diritti umani a tutte le persone presenti in Libia». Fino a quando non verranno sospesi o rivisti, gli accordi continueranno a dare legittimità a figure come Bija, protagonista dello scandalo documentato da Avvenire nei mesi scorsi. «La Libia è il Paese – scrivono le Sardine in un lungo post – dei trafficanti che operano anche dentro quella guardia costiera che è stata formata sulle navi militari italiane e fornita di soldi pubblici e mezzi italiani. È la Libia di "Bija", il trafficante di uomini che in Italia è stato invitato a partecipare a incontri ufficiali».
A rincarare le accuse contro l’Italia c’è il contenuto della richiesta di archiviazione depositata dalla procura di Agrigento per Luca Casarini e Pietro Marrone, capomissione e comandante di Mediterranea, inizialmente indagati per il salvataggio di una cinquantina di migranti. Dalle indagini coordinate dal procuratore Luigi Patronaggio è emerso che attraverso proprie navi a Tripoli, la Marina militare italiana svolge «di fatto le funzioni di centro decisionale della cosiddetta Guardia costiera libica». Accertamenti che potrebbero trascinare le autorità italiane (e i governi che lo hanno consentito) davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Modalità, peraltro, su cui sta indagando la corte penale internazionale dell’Aja. Fino ad ora solo le inchieste giornalistiche avevano permesso di ottenere registrazioni audio e documenti che adombravano questa ipotesi, e cioé che la Marina italiana sia per i guardacoste libici, come scrive Patronaggio, «il reale centro operativo di comando».
Leggi cosa scrive Unhcr-Acnur sul sito italiano su questa vicenda
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