Libia. In pochi giorni quattro naufragi nel Mediterraneo
Sospinti dalla risacca, i cadaveri vengono trascinati sulle spiagge non lontano da Tripoli. Pescatori e operatori della Mezzaluna Rossa li rinchiudono pietosamente nelle sacche di plastica nera. Anche stavolta ne sono servite diverse di piccole e bianche. Quattro stragi in meno di una settimana: più di 100 morti e altre 160 persone sparite dopo aver preso il largo. Mentre dal Dipartimento di Stato Usa arriva un dossier che accusa ancora una volta il governo centrale di aver chiuso un occhio e non di rado perfino di cooperare con i trafficanti. Sul futuro pesa la sorte della tregua annunciata pochi giorni fa.
Le forze armate guidate dal generale Khalifa Haftar, espressione del governo non riconosciuto di Tobruk, hanno rifiutato la proposta di cessate il fuoco. Un annuncio che suona come una resa dei conti interna, tra il parlamento di Tobruk, che ha accettato la proposta di transizione verso le elezioni avanzata dal governo riconosciuto di Tripoli, e il generale per il quale non sembra esserci il futuro da leader che aveva perseguito. Nell’incertezza, milizie e trafficanti continuano come sempre. «Il primo disastro, avvenuto tra il 16 e il 17 agosto – denuncia Alarm Phone – non è stato solo un naufragio. Le persone sono state colpite dagli spari di un gruppo di 5 uomini e la loro barca ha preso fuoco: 45 sono stati uccisi. Quelli che sono sopravvissuti sono vivi solo perché un pescatore locale li ha salvati».
Il secondo è avvenuto solo un giorno dopo. Da un gommone bianco avevano chiamato la linea telefonica d’emergenza. I volontari hanno ascoltato un’esplosione, che poi è risultata essere quella di un tubolare che non ha retto agli schiaffi del mare. Ancora una volta è stato un peschereccio libico a raccogliere i 65 che ancora stavano a galla, ma in 30 non ce l’hanno fatta. Il terzo caso risalirebbe in realtà a giorni precedenti. È stato segnalato da quello che sembra essere l’unico sopravvissuto, issato a bordo da un pescatore. Secondo la sua testimonianza a Ferragosto la barca è affondata appena dopo aver preso il largo.
I migranti morti dall’inizio del 2020 nel Mediterraneo tentando di arrivare in Europa (fonte Unhcr)
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I migranti arrivati nel 2020 sulle coste europee attraverso la rotta centrale del Mediterraneo
Erano partiti in 40. L’ultimo incidente è del 18 agosto, l’unico a non avere a che fare con la Libia: 18 persone avevano lasciato Jdareya, in Tunisia, a poca distanza da Zarzis, quando la barca si è capovolta e 3 migranti sono affogati prima che la Guardia costiera mettesse in salvo gli altri. «Dobbiamo fare in fretta, ormai è un’ecatombe», ripetono i team di soccorso di Open Arms e Mediterranea, che si apprestano a ripartire verso quel mare dove sono già in azione gli attivisti di Sea Watch e della motovedetta civile Louise Michelle. Il loro intervento ha permesso di soccorrere quasi 200 persone in tre distinti interventi. E presto ricomincerà il braccio di ferro con Malta e Italia per ottenere un porto di sbarco.
Nessuno, intanto, dà la caccia agli assassini. Le promesse di indagini e arresti in Libia contro i trafficanti si sono rivelate un fiasco. Pochi giorni fa il Dipartimento di Stato Usa ha completato il rapporto annuale sul traffico di persone nel mondo. «Il governo di Tripoli – si legge nel duro capitolo sulla Libia – non ha riferito se ha perseguito o condannato persone coinvolte nelle indagini su 205 sospetti trafficanti avviate dall’ufficio del procuratore generale».
E se è vero che «gli osservatori internazionali hanno continuato a segnalare la complicità di funzionari governativi coinvolti in operazioni di traffico di esseri umani e traffico di migranti, inclusi funzionari della Guardia costiera libica, ufficiali dell’immigrazione, funzionari della sicurezza, funzionari del ministero della Difesa, membri di gruppi armati formalmente integrati nelle istituzioni statali», è oramai accertato che «vari gruppi armati, milizie e reti criminali si sono infiltrati nei ranghi amministrativi del governo e hanno abusato delle loro posizioni per impegnarsi in attività illecite, compreso il traffico di esseri umani». Secondo i funzionari del Dipartimento Usa «alcune unità della Guardia costiera libica (Lcg) che sotto l’autorità del Ministero della Difesa, sono presumibilmente composte da ex trafficanti di esseri umani e contrabbandieri».
In particolare anche durante il 2019, periodo a cui fa riferimento il dossier, «l’unità della Libyan coast guard (Lcg) nella città di Zawiyah ha continuato ad avere ampi legami con il leader della milizia della Brigata dei Martiri al-Nasr, nota per aver commesso violazioni dei diritti umani, che gestiva il centro di detenzione per migranti di Zawiyah». Si tratta della milizia a cui appartiene il comandante al-Milad, detto Bija. «I membri della milizia che gestiscono il centro di detenzione – si legge ancora – hanno abusato fisicamente dei migranti detenuti e venduto alcune donne migranti per schiavitù sessuale. Alla fine del 2019 il centro è stato trasformato in una caserma dell’esercito per le milizie, mettendo ulteriormente in pericolo i migranti detenuti e le vittime della tratta».