I leader di partito hanno fatto un patto chiaro con Monti: via libera in due settimane e con pochi emendamenti, tutti «migliorativi», al decreto liberalizzazioni. Ma controllare la «libera iniziativa» dei parlamentari è complesso. Così, ieri, la commissione Industria del Senato si è trovata sommersa da 2400 emendamenti. «Non li ho ancora letti», scherza da New York il premier, che appena l’altro ieri era tornato ad invocare un iter rapido e senza stravolgimenti.Dal punto di vista di Palazzo Chigi tocca ad Alfano, Bersani e Casini far «ragionare» i loro uomini. Ma in questa prima fase non si è voluto mettere la museruola a nessuno: la quasi totalità dei senatori si è dunque fatto portavoce di una protesta o di una proposta di tassisti, farmacisti, avvocati, commercianti, grande distribuzione (è caldo il fronte dei pagamenti ai produttori agricoli). Abbondano perciò i doppioni e testi contraddittori l’uno con l’altro: il Pd ad esempio prova ad estendere la vendita dei medicinali di fascia C e le tutele alle parafarmacie, il Pdl "blinda" gli esercizi tradizionali e anzi cerca di frenare l’ampliamento della pianta organica inserendo a fianco al criterio del territorio quello del fatturato, l’Udc eliminerebbe la norma che impone al medico di indicare il farmaco generico nella ricetta.Al netto della pioggia di emendamenti, lo schema preparato da Monti e dai tre leader è un altro: i partiti avranno la possibilità di spingere sull’acceleratore laddove c’è stata, a parere di Pdl, Pd e Terzo polo, «mano morbida», ad esempio sulle banche (conti correnti a zero euro per le fasce deboli, abbassamento e trasparenza delle commissioni legate all’uso del bancomat e delle carte di credito, divieto di proporre polizze e altri prodotti associati ai mutui), sulle assicurazioni (via il risarcimento ridotto del 30 per cento previsto per chi, in caso di incidente, si rivolgerà al proprio carrozziere e non lascerà la vettura in mano all’agenzia, altri interventi per abbassare «subito» le tariffe) e sulle reti (accelerazione della separazione Eni-Snam con tetti di spesa sostenibili per gli altri operatori, una spinta per "allontanare" da Trenitalia il "gestore" Rfi - misura al momento rinviata - e Poste da Bancoposta).Non è un caso che tutti i big della "maggioranza" siano intervenuti a buttare acqua sul fuoco, prima che i 2400 emendamenti potessero essere interpretati come un agguato all’esecutivo. A mettere in pratica il progetto di conversione indolore saranno i due relatori, l’azzurra Simona Vicari e il democrat Filippo Bubbico. I due si vedranno per scrivere loro emendamenti, rappresentativi del "meglio" emerso nel dibattito. Su questi dovrebbero convergere Pdl, Pd (Bersani giovedì ha presentato la sua lista di 40 modifiche) e Terzo polo.Tuttavia il governo resta con gli occhi aperti. Da martedì la commissione inizierà a votare i singoli emendamenti (previste anche due sedute notturne), sgambetti e distrazioni sono a portata di mano, su numerose questioni Pdl-Lega e Pd-Idv potrebbero ritrovarsi e minare l’equilibrio del testo. E poi ci sono materie in cui confluiscono interessi bipartisan. L’esecutivo teme molto la "lobby" degli avvocati-parlamentari (contrari all’abolizione delle tariffe e all’istituzione del preventivo "facoltativo") e la tradizionale attenzione del centrodestra alle auto bianche. Due punti sui quali, anche simbolicamente, Monti non vuole passi indietro. Anzi, sui taxi l’esecutivo vorrebbe ridurre il peso dei sindaci rispetto alla nuova Authority dei trasporti nella concessione delle licenze aggiuntive. Rischiano anche i 12 "tribunali delle imprese" con competenze extraterritoriali (ad esempio Catania per Reggio Calabria e Catanzaro) previsti sul territorio nazionale. Sul testo che uscirà dalla commissione probabilmente si chiederà la fiducia. Perciò, appena rientrato dagli Usa, Monti farà il punto con Alfano, Bersani e Casini.