Attualità

Bruxelles. L'Europa muove verso le due velocità

Eugenio Fatigante inviato a Bruxelles sabato 11 marzo 2017

A dare la linea è, ancora una volta, Angela Merkel: «Uniti nella diversità», è il motto con cui la cancelliera tedesca spiega lo spirito delle “più velocità” a cui si dovrà ispirare l’Europa del futuro e del dopo-Brexit, con l’occhio puntato all’atteso vertice di Roma del 25 marzo. La mattinata tutta dedicata dai 27 leader (senza la Gran Bretagna) a una discussione su cosa scrivere nella Dichiarazione da firmare nella capitale italiana non ha prodotto accelerazioni, difficili d’altronde da immaginare dopo la rivolta di giovedì della Polonia contro la rielezione di Tusk a presidente del Consiglio Europeo, episodio sintomatico del disagio di alcuni Paesi (specie dell’Est) davanti alla nuova Unione che si vuol disegnare in occasione della celebrazione dei 60 anni. Al termine della giornata tocca allora a Jean-Claude Juncker mandare messaggi rassicuranti: «Ho constatato non senza sorpresa che per qualcuno» l’idea di una Europa a diverse velocità, fa notare il presidente della Commissione Ue, «marcherebbe una linea di divisione tra Est e Ovest», come «una nuova cortina di ferro, ma non è questa l’intenzione».

Il progetto, al di là dell’intensa battaglia diplomatica a cui dà vita, in realtà è «molto semplice », ricorda Paolo Gentiloni: chi vuol fare di più nell’integrazione europea deve poter fare di più, senza i freni prodotti dal principio dell’unanimità. «Non stiamo parlando di un’Europa “ a la carte” – aggiunge il nostro premier -, dove ciascuno sceglie ciò che vuole. È una direzione di marcia necessaria», anche per «rompere quel clima di difficoltà che si respira in Europa dal 23 giugno» scorso, data del referendum in Gran Bretagna. Il rischio di produrre nuove fratture, però, è forte. Per questo il dato positivo che, nella conferenza stampa finale, Gentiloni dice di aver registrato, e che lo porta a parlare di «relativo ottimismo», è «la consapevolezza diffusa» fra i 27 leader che l’incontro di Roma «possa essere un’opportunità, un’occasione di rilanciare» l’Unione. «Non un singolo Paese» si è tirato indietro. Il presidente del Consiglio auspica che scatti «un po’ di orgoglio europeo, per quello che l’Europa ha rappresentato in questi 60 anni, non solo per i migranti ma anche per il mondo ricco». La chiave di tutto è far sì che questo processo sia, aggiunge Gentiloni in inglese, « elective, not selective », cioè sia una scelta consapevole di ogni singolo stato e non un qualcosa vissuto come «una logica di esclusione». Perché «non ci sono club esclusivi» e tutto deve avvenire «nel rispetto dei Trattati» istitutivi dell’Unione, senza nuovi strappi.

L’obiettivo del premier (che, confessa, lo renderebbe «soddisfatto») è arrivare il 25 marzo alla firma di tutti i 27 leader, il che darebbe alla Dichiarazione un valore molto forte. Sperando, poi, che in Francia vinca alle elezioni una «maggioranza europeista». Gentiloni ha cominciato a tessere questa delicata tela sin dal mattino presto: prima in un vertice a 4 con Juncker, Tusk e il maltese Muscat (Malta ha la presidenza di turno dell’Ue), poi in un breve bilaterale con la Merkel. Si tratta di un progetto da incardinare su quelle che ha definito «4 grandi priorità» da sviluppare «con una prospettiva di 10 anni, tempo utile per ammorbidire le differenze», evitando così che tempi più stretti facciano risaltare invece i contrasti. Le 4 aree, analizzate in una discussione che Gentiloni ha definito «politicamente molto interessante », sono «la difesa dei propri cittadini», anche con riferimento alla «gestione dei flussi migratori», quindi «la crescita, l’Europa sociale e il ruolo come soggetto di scambi e di mercato». Ed è soprattutto su misure sociali condivise che si registrano distanze, al momento. Per attenuarle Palazzo Chigi punta al lavoro dei tecnici sulla bozza fino alla fine della settimana prossima, «certo non faremo un lavoro di scrittura in Campidoglio». Solo un accenno alle cose di casa. Giusto per rivendicare che il precedente governo Renzi ha «contribuito a ridurre di molto la distanza dell’Italia dalla media della crescita europea», un lavoro «che non va disperso».