«So di essere in controtendenza, ma credo che, rispetto a quanto scrivono i giornali, dobbiamo distinguere gli euroscettici dagli eurocontrari». Franco Frattini, ex commissario Ue e per due volte ministro degli Esteri, ha scelto da tempo di lasciare la politica attiva. E dal suo nuovo ruolo di osservatore esperto commenta: «Pensiamo al caso italiano: i due più grandi partiti, Pd e Forza Italia, aderiscono alle più importanti famiglie politiche europee, il Pse e il Ppe. Eppure nei fatti sono un po’ euroscettici. Guardiamo il Pd, la forza che si definisce la più europeista. Qual è il suo slogan? «Mai più lezioni da Bruxelles». Diciamo le cose come stanno: nessuno che si dica europeista – e tra questi mi ci metto anche io – sostiene che l’Unione Europea vada bene così com’è. Una cosa diversa sono invece gli euro contrari, come Le Pen in Francia, Geert Wilders in Olanda, o Nigel Farage in Inghilterra. Loro sono proprio contrari all’integrazione europea. Ma persino la Lega, che vuole uscire sì dall’euro, non è contraria all’Europa unita.
Siamo tutti un po’ euroscettici insomma. Ma che bisogna fare per superare questo scetticismo? Indietro non si può tornare. Ma in questi anni di attività internazionale sono giunto alla conclusione che c’è bisogno di maggiore integrazione in alcuni settori, mentre per altri c’è necessità di riportarli sotto la competenza dei governi nazionali.
Può specificarli? Dove serve più Europa è nella politica estera e di difesa, nella politica energetica e nella politica bancaria, finanziaria e monetaria. Invece occorre meno Europa in tutti quei settori che riguardano la storia, le tradizioni, gli usi e le consuetudini dei singoli Stati sui quali, invece, sono state spesso dettate norme minuziose e capziose. Possiamo ancora pensare che Bruxelles si debba occupare della definizione della mozzarella di bufala italiana o delle aringhe affumicate finlandesi? Non sarebbe molto meglio che l’Ue si occupasse di avere un atteggiamento comune su questioni gravissime, come quella dell’Ucraina, o come la difesa della libertà religiosa, di cui non si sta più occupando? L’Europa ha avuto il Nobel per la Pace. Era un riconoscimento giusto, ma deve continuare a meritarselo.
L’impatto delle crisi economica sull’opinione pubblica significa soprattutto una cosa: disoccupazione. L’Ue non può far nulla? Sul lavoro e sulla sicurezza sociale occorrono forme di consultazione e di collaborazione che arrivino a definire alcuni punti in comune, ma non si può pensare a una politica standard uguale per tutti. Il Welfare State che c’è nei Paesi scandinavi non potrà mai esserci nei Paesi come l’Italia, per una serie di ragioni, ma soprattutto perché la Finlandia ha 5 milioni di abitanti e l’Italia quasi 60. Tentare di omologare il sistema sarebbe un gravissimo errore. Dove bisognerebbe agire è per esempio sulla mano d’opera, riducendo le disparità. Se un cittadino bulgaro è disposto a lavorare per due euro all’ora e uno italiano non a meno di sette, è chiaro che si creano all’interno dell’Unione forme di competizioni eccessive e aumenta il rischio di delocalizzazione delle imprese.
Allora non c’è nulla da fare? Ci sarebbe da fare un discorso serio sui fondi europei. È possibile che siano impiegati con una finalità comune? Perché l’Unione non decide di impiegare la fiscalità europea per operare sgravi fiscali agli imprenditori che assumono giovani? Sarebbe una misura comune di grande impatto, coerente del resto con il principio della libera circolazione dei lavoratori.
E agire sulla leva del fiscale? È possibile un fisco europeo? Anche qui: l’aliquota fiscale unica europea, nelle condizioni date, è una chimera, dato che esistono differenze tra Stati e Stati che arrivano persino a venti punti. Però si possono e si devono armonizzare le politiche di lotta all’evasione fiscale. Alcune norme prese dai governi nazionali, pensiamo alla limitazione dell’uso del contante che abbiamo in Italia, diventano inutili o addirittura controproducenti se non vengono estese a tutti gli Stati dell’Unione.
C’è chi dice che l’Europa costi di più dei benefici che produce. Non è affatto così. Il discorso è lungo. Mi limito a fare due esempi tra i tanti. Si ha un’idea dei costi che ogni singolo Stato e gli imprenditori dovrebbero sostenere per ricostruire il sistema delle frontiere e delle dogane? E possiamo rinunciare al sistema satellitare europeo Galileo? Forse non molti sanno che Galileo è il più importante e il migliore sistema al mondo per la sicurezza, la meteorologia, la protezione dalle catastrofi. Quanto costerebbe il satellite italiano?
La strage di profughi nel Mediterraneo è un buco nero dell’Ue… È una gravissima emergenza umanitaria, come ci ha ricordato papa Francesco, e uno dei settori dove l’Europa è mancata del tutto. Quando ero commissario, demmo vita al programma Frontex: c’erano uomini e mezzi di 13 Stati europei a pattugliare il Mediterraneo. Con il tempo, Frontex è stato svuotato. Non è solo responsabilità dei singoli Stati, ma anche delle regole d’ingaggio. Perché ora è stabilito che se i profughi vengono salvati da una nave spagnola o italiana poi deve essere la Spagna o l’Italia a ospitarli. È chiaro che così non funziona. Serve la revisione del Trattato di Dublino per ripartire equamente i profughi su tutti gli Stati dell’Unione. Il Mediterraneo è il confine di tutta l’Ue non degli singoli Stati che vi si affacciano. Sarebbe anche importante in questo dialogo tra civiltà aprire il sistema Erasmus, che tanto ha contribuito a formare coscienza europea nei nostri giovani, anche ai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.
Ma le istituzioni europee non hanno necessità di riforme? È un discorso delicato, starei molto attento. Mettere mano alle riforme dei Trattati significherebbe aprire il vaso di Pandora dei referendum, degli scontenti nazionali, con il rischio di fare molti passi indietro.
Ci sono voci che circolano sul fatto che né il candidato del Ppe Junker né quello del Pse Schulz diventeranno alla fine presidente della Commissione… Io invece mi auguro che il 26 maggio diventi presidente della Commissione l’esponente politico più votato dai cittadini europei. Capisco che ci sono dinamiche complesse, tra gli Stati e tra gli stessi organi dell’Unione, Commissione e Parlamento. Ma un cambio di cavallo, per quanto giustificato dalla necessità di un accordo tra i governi, sarebbe uno schiaffo inaccettabile per un’opinione pubblica e che ha già pochi motivi di entusiasmo verso l’Ue.