«Anche chi ama l’Europa oggi non ne coglie la forza, il calore, le potenzialità. E la colpa è nostra, tutta nostra. La politica ha fallito, ha sbagliato narrazione, ha lasciato che immagini buie rubassero la scena a fotografie luminose. L’Europa è il futuro e, invece, Bruxelles appare lontana, fredda, spesso inutile. L’Europa è la vita dei nostri figli e invece sui grandi media la raccontano solo con parole brutte: rigore, sacrificio, egoismo». È un’analisi cruda, intrisa di realismo e autocritica. Enrico Letta, però, senza cambiare tono di voce, all’improvviso disegna la svolta. «Ora si può cambiare, si deve cambiare. Serve un grande progetto di "spiegazione" dell’Europa. Mi viene in mente l’operazione che fece Giorgio Napolitano in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Il capo dello Stato fu grande. Seppe ridare centralità a un sentimento senza mai sconfinare nel nazionalismo... Noi abbiamo una sfida ancora più complicata: raccontare un’Europa obbligata ad adattarsi ai nuovi tempi, a riscoprire la sussidiarietà nel welfare... Un’Europa dove le idealità tolgano spazio alle ideologie».C’è una data fissa nella testa del presidente del Consiglio: primo luglio 2014. Da quel giorno toccherà a noi la presidenza della Ue, a noi disegnare una traiettoria e arricchirla di proposte, contenuti, risultati. Letta è da settimane con la testa su quella sfida. Pensa a come caratterizzare il semestre. A come far passare le intuizioni italiane. Ma anche a come costruire il passaggio dall’«Europa dei burocrati a quella dei cittadini». A come rendere possibile il Grande Sogno: l’integrazione politica della Ue, gli Stati Uniti d’Europa. In mille conversazioni il premier mette in fila speranze e ambizioni. «I nostri giovani capiranno. Loro stanno crescendo in Europa. La loro vita sono le lingue, l’Erasmus, gli amici di Madrid, di Parigi, di Berlino: non faticheranno a capire che non c’è alternativa all’Europa. Ma ora il tema dovrà entrare con forza nel dibattito pubblico, dovrà rimbalzare sui media, finire nei tg, riempire i giornali». Tutto verrà coordinato da Palazzo Chigi. Ogni iniziativa verrà studiata, pesata, costruita nella roccaforte del governo. Letta ha chiaro il disegno e i tempi. Si partirà a gennaio. Si coinvolgeranno il ministero dell’Istruzione, quello della Difesa, il Coni. «Penso a iniziative in ogni scuola: i nostri ragazzi devono sapere che senza Europa l’Italia è condannata all’irrilevanza. Lo dobbiamo spiegare con parole facili, con immagini comprensibili. E poi penso al contributo che può arrivare dalle nostre forze armate, dai nostri atleti, dai nostri ricercatori. La loro partita è in Europa, possono giocare un ruolo importante per fare amare questa Ue così impopolare».Nelle ultime settimane lo staff del premier ha incontrato uomini Rai, Mediaset, Sky. Ha parlato con giornali e con radio. Incontri mirati. Per avere idee su come raccontare l’Europa. Per scegliere tempi giusti e immagini convincenti. Ma tutto potrebbe non bastare. Solo con un deciso gioco di squadra sarà possibile sfruttare il semestre di presidenza per portare il Paese, dalle imprese a chi fa informazione, a «pensare europeo». Letta valuta insidie e opportunità. Sa che sarà lui al timone perché mai, in nessun Paese europeo, si è aperta una crisi di governo nel semestre antecedente a quello di presidenza e perché sarebbe «folle disperdere sacrifici e investimenti fatti in questi mesi». Ma Letta da solo non basta. Serve Alfano e Alfano c’è: anche lui crede e punta sull’Europa. Ma servono soprattutto il Pd e Renzi. Dovrà essere il sindaco l’alleato vero dell’inquilino di Palazzo Chigi e Letta è il primo a saperlo e ad ammetterlo. «Matteo – ragionava il premier in una telefonata privatissima di qualche giorno fa – qualche volta sembra tentato di scegliere la strada più semplice. Di criticare, invece che costruire. Di fare un po’ come Grillo... Ora, però, deve capire che l’Europa è anche la sua scommessa. Che anche lui è figlio dell’Ulivo, di Romano Prodi, del risanamento che ci ha portati nell’euro. Matteo, è il campione della comunicazione, trova sempre le parole giuste, l’immagine che "buca": può essere la carta vincente. Io e lui possiamo davvero trasformare l’Europa nel sogno delle generazioni future». Tutto passa dall’Europa. E in prospettiva sarà sempre più così. Ma questo va spiegato e Letta vuole farlo. Perché l’Europa è nel suo Dna, perché il lavoro di Beniamino Andreatta (l’ex ministro Dc che dell’Europa ha fatto la sua missione,
ndr) è da sempre nella sua testa, perché al di là delle competenze tecniche il premier ha un’ambizione che confessa solo ai collaboratori di sempre: «Il mio governo non può avere solo l’obiettivo di mettere una pezza alla crisi. Abbiamo una sfida diversa da quella che fu di Mario Monti e, ancora prima, di Giuliano Amato. Dobbiamo trascinare l’Europa fuori da una visione tutta rigorista e siamo ancora in tempo...». Letta prende fiato e "regala" fotografie che si legano a ricordi. Pensa ai viaggi da ragazzo in Cile e in Argentina con l’internazionale democristiana. A quel Sud America dove il «modello di riferimento non erano gli Stati Uniti, ma la nostra Europa capace di tenere insieme sviluppo economico e coesione sociale». E ora? «Ora il Pil europeo è ancora più alto di quello americano, ora nonostante una crisi devastante la qualità di vita degli europei è ancora dignitosa...». Letta riflette qualche istante, poi torna a riflettere a voce bassa. «Austerità e rigore rischiano di far saltare l’equilibrio. Ma la mia sfida è partita e non solo solo». Non va oltre il premier. Non racconta la naturale alleanza con la Francia di Hollande, non si sofferma sul finora mai approfondito feeling con Cameron. E non drammatizza il braccio di ferro con Angela Merkel: lui anche a Berlino ha un qualche credito e soprattutto non viene percepito come un potenziale nemico. Ora però si aspetta luglio. Letta chiuso nel suo ufficio di Palazzo Chigi sistema idee e ferma gli occhi sul gigantesco mappamondo immobile dietro la scrivania. È in qualche modo la misura di un’ambizione. «La mia Italia per troppo tempo ha pensato di poter giocare da sola, di poter essere autosufficiente. Ha peccato di provincialismo ed è caduta facendosi male. Ora si sta rialzando, anzi si rialzerà. Ma solo puntando decisa sull’Europa e imponendo all’Europa la sua visione potrà riprendere davvero a correre».